Nada sin ti, nada sin nosotros

Postato su 2024-01-18 In Riflessioni e opinioni

Una riflessione su Schoenstatt

Articolo d’opinione, di Patricio Young, Cile •

Innanzitutto vorrei spiegare che il Movimento fa parte della mia vita da 59 anni. Al Movimento stesso devo gran parte di ciò che sono e di ciò che è la mia famiglia. È qui che nascono le mie riflessioni e le mie preoccupazioni sul presente e sul futuro del movimento. —

Patricio Young

Patricio Young

La realtà ci mostra che siamo in una crisi, le cui cause non hanno una storia comune. Alcuni dicono che stiamo andando bene, altri che basterebbero pochi accorgimenti cosmetici. Secondo me il problema è più profondo e la riflessione ci obbliga ad esplorarne le cause.

Poiché non siamo un movimento incline ad un’aperta autocritica – il che contraddice i principi dell’autoeducazione – molte conversazioni di corridoio offrono varie analisi che generalmente corrispondono alle deduzioni di un problema centrale che rimane non riconosciuto e indefinito.

Vorrei provare a esplorare questo. Non ho la pretesa di trovare la pietra filosofale, ma piuttosto di avvicinare le considerazioni a una realtà più fondamentale che mi sembra molto sensata.

Voglio solo dare un primo accenno ad una considerazione che spero altri possano integrare e migliorare.

Uno sguardo alla fede

Sono convinto che Padre Kentenich pensava ad un movimento comunitario. Così ci formiamo e cresciamo in una comunità di vita – nota d. Redattore: nelle associazioni e negli istituti volontariamente nei gruppi della Lega Apostolica – mentre questo è un processo importante e di incommensurabile ricchezza, il cammino di autoeducazione appare un processo del tutto individuale.

Ciò significa che nel movimento convivono due mondi: quello preconciliare, con la “privatizzazione della salvezza” e del bene come sua massima espressione, e il mondo postconciliare, in cui si sottolinea che nessuno si salva da solo, ma con gli altri e per gli altri. La santità si raggiunge solo attraverso l’amore espresso in atti di misericordia e che include necessariamente gli altri.

Gesù ci dice che la bontà non è la via, quando ci dice che l’unico buono è il Padre Celeste (quando viene definito un buon maestro). Allora ci indica chiaramente la strada: gli atti di misericordia, frutto ed espressione di amore. Papa Francesco ci dice: «Dio salva ognuno di noi personalmente, ma “come popolo”, non “solo io” e “il mio piccolo gruppo”. “Coloro che privatizzano la fede formando élite che disprezzano gli altri non seguono la strada di Gesù” (1)

Le condizioni sociali e culturali indubbiamente influiscono fortemente, perché siamo nel mondo. In una società incredibilmente egoista, dove prevale la legge del più forte, la visione individuale della salvezza è coerente e consistente: io mi salvo da solo! La religiosità in Cile e in altri paesi dell’America Latina ha molto di questo. Inoltre, almeno nel nostro paese, che conosco meglio, è ancora più fortemente influenzato dalla prospettiva del gruppo principale a cui Schoenstatt giunge, la classe medio-alta, che è caratterizzata da un più forte individualismo.

La comunità nella vita e nell’apostolato comuni, costituisce un enorme spazio di formazione e di crescita. Vivere e lavorare insieme può avere un impatto maggiore sulla nostra crescita rispetto a un’unica relazione riflessiva individuale che ci rende egocentrici e ruota solo attorno al nostro mondo conosciuto.

Ma come avviene tutto ciò?

Se sappiamo che le parole creano realtà, ciò è ancor più vero per le preghiere.

Se prendiamo la nostra preghiera principale, la Preghiera di Consacrazione, che ha radice preconciliare perché adottata dalle Congregazioni mariane, allora anche se facciamo questa alleanza comunitariamente, la preghiera è individuale: “O mia Signora, o mia Madre… “. È sempre individuale, anche quando siamo uniti come comunità. È il mio rapporto diretto con Maria il fondamento della mia alleanza. È “niente senza di te, niente senza di me”. Non è “niente senza di te, nulla senza di noi”. La mia comunità ha poco o niente a che fare con la mia fedeltà e la mia risposta a questa alleanza. Preghiamo questo ogni giorno.

Nella nostra cultura cristiana la preghiera è comunitaria; è plurale. Cristo ci ha insegnato la Preghiera del Signore nella prima persona plurale; “Padre nostro”, non “Padre mio”, la successiva Ave Maria – “prega per noi” – e questo non è un capriccio, ma corrisponde a ciò che Lui stesso ci ha insegnato: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.”

Questa realtà ambivalente della nostra spiritualità si manifesta in ogni cosa. Prendiamo ad esempio “Verso il Padre”. Le prime righe, la consacrazione mattutina, iniziano con “Dopo essere stato rafforzato, posso risvegliarmi per ravvivare l’amore”. È una preghiera in prima persona, ma nel paragrafo successivo cambia alla prima persona plurale: “Nel santuario siamo insieme, lì battono le fiamme dei nostri cuori…”

Nello stesso “Verso il Cielo” troviamo preghiere in prima persona ed altre al plurale. Tuttavia, quelle pregate più frequentemente sono chiaramente al singolare, come la preghiera di fiducia (ndr della traduzione spagnola: nell’appendice dell’edizione spagnola, scritta da Padre Kentenich a Dachau) o la preghiera allo Spirito Santo (ndr: anche in appendice all’edizione spagnola, la preghiera del cardinale Newman, ripresa e adattata da Padre Kentenich in un sermone a Milwaukee).

Come abbiamo detto, le preghiere generano più realtà delle semplici parole e, a loro volta, riflettono una cultura radicata all’interno di una famiglia ecclesiale. Ecco perché si manifesta in molti ambiti in cui questo sguardo individuale si trasforma in uno sguardo collettivo individualistico. Ciò è evidente nei rapporti tra i rami del Movimento, dove prevale la critica di corridoio e si preferisce eludere le domande fondamentali per non confrontarsi con loro o affrontarli. Ciò è evidente anche nei nostri rapporti con la Chiesa e con la società.

Un’espressione di ciò si trova anche in “Verso il Cielo”, dove Padre Kentenich conclude molte preghiere con la frase: “Costruisci ovunque attraverso di noi il tuo Regno di Schoenstatt”. In realtà dovrebbe dire: «Costruisci ovunque per mezzo di noi il tuo regno di Cristo», missione di ogni cattolico. Alcuni mi diranno che dovrebbe essere lo stesso. Ma non è così. Sembra che sia una questione propria del movimento, e questo ci allontana dagli altri, ci allontana dalla Chiesa. Da qui le parole evidenziate dal Sant’Uffizio (ndr: 70 anni fa) «Schoenstatt è l’opera preferita di Dio» e altro [2] , proprio perché sembra separarsi dal resto della Chiesa, assumendo un cammino proprio.

Preghiamo la consacrazione individualmente, come se la mia consacrazione fosse un atto individuale, mentre dipende e ha significato all’interno della comunità. Vediamo Schoenstatt come qualcosa centrato su sé stesso, pieno delle sue celebrazioni, ma distanziato dal resto della Chiesa e del mondo.

Questa visione, mai veramente risolta, condiziona oggi la vita del movimento in tutti i suoi ambiti. Secondo me è questo il nodo da sciogliere.

Solo quando questo cambierà nella nostra Famiglia, cambierà la reazione tra di noi, con la Chiesa e con il mondo. Vi invito a fare l’esperienza di pregare la consacrazione al plurale e vi assicuro che questo sarà l’inizio di una nuova tappa per Schoenstatt, perché cambia assolutamente la dimensione del mio rapporto con l’Alleanza, ci riunisce tutti in uno compito per la salvezza e ci avvicina molto più alle sfide del mondo e della Chiesa. “O nostra Signora, o nostra Madre”…


 

[1] 29 de enero 2015

[2] Egli (P. Kentenich) dovrebbe anche prendere le distanze da espressioni che possono facilmente trarre in inganno i fedeli, come: “Schoenstatt, opera eletta di Dio; Il Segreto di Schoenstatt; Fede di Schoenstatt; “Credi in Schoenstatt e nel mistero di Schoenstatt” e simili. Documento – 31 luglio 1951 Lettera del Sant’Uffizio a padre Turowski

Originale: spagnolo. Traduzione: Eugenio Minici, Roma, Italia

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