Postato su 2016-04-09 In Che cosa significa l'anno della misericordia?

Misericordia, Punto d’incontro tra Papa Francesco e Padre Kentenich

P. Juan Pablo Catoggio, Superiore Generale dell’ Istituto dei Padri di Schoenstatt. Un articolo della serie: Che significa l’Anno Santo della Misericordia?

“Qual è il tuo nome, Dio?” Chiede Mosè a Dio davanti al roveto ardente (cf. Esodo 3, 1-8, 13-15). Dio è il tema centrale di questi giorni, il tema centrale della liturgia di oggi (III Domenica di Quaresima).

Il tempo di Quaresima è tempo di conversione. Tante volte pensiamo che la conversione sia un cambiamento radicale e profondo di vita, un cambiamento che esige una decisione, che esige propositi e sforzi immani. E ci domandiamo se, nel tempo di Quaresima, ci debba essere qualche ramo secco da ‘potare’ nell’anima, qualcosa da correggere, da cambiare, per tirar fuori qualcosa di buono da questa conversione interiore.

Le letture di oggi, invece, ci invitano a focalizzare la nostra attenzione su un altro punto. Chi deve cambiare più radicalmente è il “nostro Dio”. Non è che deve cambiare Dio. Deve cambiare la nostra immagine di Dio e la nostra esperienza di Dio. Sarà, allora, forse questo il punto sul quale si deciderà la vera conversione: quando scopriremo realmente il volto del nostro Dio. Almeno, questa è l’esperienza dei grandi convertiti, come san Paolo o Sant’Agostino. Non fecero grandi sforzi né cambiarono la loro vita, all’inizio. Tutto divenne una conseguenza del fatto di aver scoperto Dio e chi era Dio nella loro vita.

Qual è il tuo Dio, com’è l’immagine di Dio?

E, allora, com’è questa immagine di Dio? Perché tutti crediamo in Lui. Pur nelle diverse religioni, crediamo in Dio. I fondamentalisti di tutte le religioni credono anch’essi in Dio. Molti uccidono nel nome di Dio. All’interno di un fondamentalismo che sfocia in terrorismo, si perseguita in nome di Dio. Molti abusano, o usano male, il nome di Dio, forse per giustificare le cose che maggiormente si oppongono, in realtà, a Dio stesso.

Dunque, qual è il nostro Dio? Qual è il tuo Dio? In questo  Anno della Misericordia, in modo speciale, e in questo tempo di Quaresima, la liturgia ti invita a scoprire qual è il tuo Dio. Se tu, sinceramente, gli chiederai come Mosè:  «Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?»  (Es. 3, 13).

Tre momenti, tre nomi di Dio

Perciò, vorrei soffermarmi a riflettere un po’ sulla prima lettura dal Libro dell’Esodo, su questa esperienza di Mosè davanti al roveto ardente, e sul Salmo 125. Se guardiamo all’esperienza di Mosè, troviamo tre momenti, tre nomi di Dio – potremmo dire – che mi sembrano corrispondere a tre tappe della crescita della nostra fede in cui scopriamo poco a poco chi è davvero il nostro Dio. Dimmi chi è il tuo Dio e ti dirò chi sei e cosa significano gli altri per te. Tutto, la nostra propria concezione della vita, la nostra vita con gli altri, tutto dipende da come è il nostro Dio.

Ci sono tre momenti, dicevo, tre nomi di Dio. Cerchiamo di ricordare la storia di Mosè. Era un bambino ebreo che sarebbe dovuto essere morto, ucciso alla nascita. Era, indubbiamente, un bambino molto carino, come tutti i bimbi, e la levatrice, commuovendosi al vederlo, lo nasconde in una cesta e lo affida alle acque del Nilo. La figlia del Faraone lo vede e si commuove anch’essa. Lo fa allevare alla sua nutrice senza sapere mai chi fosse la mamma del bambino. Così, cresce in casa del Faraone, un uomo di indubbio prestigio. Un giorno, però, vede i fratelli del suo popolo venire maltrattati e oppressi da un egiziano. Difendendoli, uccide l’egiziano. Il giorno seguente, vede ebrei litigare tra loro. Nel cercare di separarli, essi gli dicono: “Ucciderai anche noi?” Allora, fugge, si rende conto che la notizia dell’assassinio dell’egiziano era trapelata e scappa. Attraversa il Mar Rossa e va nel deserto di Madian. Qui, si sposa e vive facendo il pastore.  È qui, nel deserto, che accade il nostro episodio: un roveto stava ardendo senza consumarsi. Mosè si avvicina e sente che Dio gli parla e che lo chiama per nome: “Mosè, Mosè! Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!”

Questo Dio che, in qualche modo, impone rispetto e un certo timore, questo Dio a cui non possiamo avvicinarci, per il quale dobbiamo toglierci i sandali, questo Dio si presenta e tranquillizza Mosè, dicendogli: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Dice per prima cosa: “ il Dio dei tuoi padri”, che è, possiamo dire, il primo nome di Dio. Poi, dice ancora: “il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l’oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. Ora va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!”

Signore, chi sei? Ccome ti chiami?

A questo punto, arriva la domanda di Mosè: “Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?”.Per questo, la pagina  del Libro dell’Esodo è una delle principali, se non la più importante di tutto l’Antico Testamento, nella quale Dio si rivela. Per l’ebraismo, almeno, è la pagina della Sacra Scrittura, nella quale Dio si mostra per la prima volta e dice chi è. Dice il suo Nome, un nome misterioso, certo, un nome che è quasi innominabile. E così, infatti, lo intendono da sempre gli ebrei: l’innominabile, perché è un nome che ci trascende, non è un nome qualsiasi, nel quale ‘incaselliamo’ qualcuno o qualcosa. Dio non lo si può ‘incasellare’ in una parola né in un concetto. Trascende, sfugge.

Per questa ragione, è un nome molto speciale. Si presenta, infatti, come “Io sono colui che sono”, che non è da intendere come un pensiero astratto, ma come qualcosa di molto concreto: egli è colui che è presente. Egli è colui che sta con noi. Egli è colui che si fa presenza in mezzo a noi. Egli è il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia. Potremmo dire che è il Dio della Provvidenza, nel nostro linguaggio. È quel Dio che ascolta il grido del popolo, che ci ascolta. È il Dio che risponde alle nostre richieste, che vede le nostre necessità anche quando non lo chiamiamo. È Lui che viene a salvarci.

Ancora di più, è il Dio del perdono. E questa è la terza esperienza di Mosè, che non è nel testo che abbiamo ascoltato oggi, ma un po’ più avanti. Questa prima esperienza di Mosè continua nella liberazione del popolo, Egli lo manda dal Faraone e arrivano le piaghe d’Egitto. Infine, giunge il momento dell’esodo, il popolo attraversa miracolosamente il Mar Rosso e si libera della schiavitù. Poi, è condotto nel deserto dove avviene, come popolo, l’incontro più importante con Dio sul Monte Sinai. L’Alleanza del Sinai, i comandamenti, la Legge che Dio affida, attraverso Mosè, al suo popolo.

Ciò costituirà quella fede e quella esperienza di Dio, della salvezza, dell’incontro, dell’alleanza, del nome di Dio….ciò definirà, in effetti, il fondamento religioso del popolo eletto.

Però, questo popolo – mentre Mosè era sulla monte Sinai per 40 giorni e 40 notti e ‘tardava a scendere’ – dato che era abbastanza lamentoso, cominciò a lamentarsi di tutto: Mosè è scomparso; sono già passati tanti giorni;… facciamoci un altro dio!

E così, si fanno il vitello d’oro, per poter vedere quel dio che non vedevano, ma che volevano tanto vedere. Dio si arrabbia moltissimo con il Suo popolo, mentre Mosè affronta Dio stesso e cerca di calmarlo e di negoziare. “Non scacciare il tuo popolo. È il tuo popolo, nonostante tutto. Sì, sono stupidi, ma sono sempre il tuo popolo. Abbi compassione di loro”. E allora, a questo punto della storia, arriva il perdono, l’esperienza del perdono.

Dio sio rivela nella sua forma più completa e profonda. È quel Dio grande nella misericordia e nel perdono. Un Dio buono e compassionevole, lento all’ira e grande nell’amore per mille generazioni (cf. Num 14, 18). Una definizione, questa di Dio, che attraverserà tutta la Bibbia, che ritroviamo nei Salmi (Sal 103, 8; Sal 145,8). Un Dio ricco di misericordia, compassionevole e generoso.

Tre esperienze di Dio nella nostra vita

Ci sono tre esperienze di Dio. Vi invito a pensare alla nostra vita. Credo che, in qualche maniera, ognuno di noi percorra queste tre tappe.

Conosciamo Dio come il Dio dei nostri padri, o almeno così è per la maggioranza di noi. Abbiamo, infatti, ricevuto la fede dai nostri genitori, dalla nostra famiglia. È stata coltivata poi in qualche buona scuola o grazie ad altre persone. È il Dio dei nostri padri e dei nostri nonni, il più delle volte. È il Dio che abbiamo ricevuto; è, un po’, il Dio della nostra tradizione, quello che abbiamo ereditato.  È il Dio dei nostri padri, Colui che ha già accompagnato generazioni prima di noi. È il Dio che abbiamo ricevuto dall’insegnamento della Chiesa, il Dio del catechismo.

C’è, poi, una seconda tappa nella nostra maturità di fede. Viene un momento in cui, solitamente durante l’adolescenza, diciamo: “Non voglio andare a messa solo perché mi ci mandano i miei genitori. Non voglio confessarmi perché devo o perché mi obbligano. Non voglio seguire semplicemente il Dio dei miei padri, della tradizione e del catechismo. Ora, voglio scoprire il mio Dio”. Ed è così che scopriamo molte volte Gesù in una maniera molto personale, intima, e ci decidiamo per Lui. Quel Dio dei nostri padri diventa il mio Dio, il Dio della mia vita, della mia storia, della mia provvidenza, il mio Signore. È il Dio del presente, è Colui che è dentro la mia vita, Colui che cammina con me.

E infine, molte volte, migliaia di volte, facciamo, come il popolo d’Israele,  l’esperienza, la più profonda, di un Dio che guarda nel suo infinito amore e nella sua misericordia, la mia piccolezza, la mia miseria, il mio peccato. Si tratta di tutte quelle volte in cui ritorno a testa bassa, come il figlio prodigo, a chiedergli di perdonarmi e Lui mi riceve con l’abbraccio della sua misericordia. In quei momenti, si rivela essere il Dio dell’infinita misericordia. È la rivelazione più profonda del nostro Dio.

Tre momenti sul cammino di fede di P. Kentenich

Mi azzardo a fare un parallelo anche con il cammino di fede del nostro Padre Fondatore, di P. Kentenich. Per di più, se uno scorre un po’ i suoi scritti negli anni, si nota anche un certo sviluppo in tale cammino.

I primi corsi – soprattutto quelli degli anni ‘20 – fatti a seminaristi, sacerdoti e altri, erano corsi molto dottrinali. Parlavano di Dio che abita in noi, dell’essere membri di Cristo, della filiazione di Dio, dell’essere figli di Dio nella forza dello Spirito Santo. Certamente, si tratta di accenti e niente di più. Direi che parlava un po’ più del “Dio del catechismo”. Egli trasmetteva, predicava, annunciava quell’immagine di Dio che ci insegna la Chiesa. Infatti, pur sempre con alcuni tratti tipici del suo pensiero, l’accento era posto di più su questo.

Subito dopo, già negli anni ’30 e, da allora in poi, si aggiunse un aspetto molto centrale per il Padre Fondatore, quello del Dio della Provvidenza, della fede nella Divina Provvidenza. Si tratta del Dio della mia vita e della mia storia, del Dio che conduce la mia vita passo dopo passo, che ha in serbo per me un itinerario e un calendario. È il Dio che fa la storia con noi e che sta dentro tutti gli avvenimenti. È il Dio Yahweh, il Dio presente, il Dio oggi, il Dio nella mia vita, nella vita di tutti e  di ognuno.

Vediamo, infine, l’ultima tappa della vita del Padre. Tra i testi di P. Kentenich da rileggere, in occasione dell’Anno Santo della Misericordia, vi consiglio specialmente una lettera che il Padre Fondatore scrisse verso la fine dell’esilio, quando era a Roma nel 1965.  Scrisse questa lettera alla Famiglia per Natale. Dice P. Kentenich: “Qual è l’esperienza che abbiamo fatto, cosa abbiamo guadagnato in tutti questi anni? Abbiamo scoperto una nuova immagine di Dio e, di conseguenza, dell’uomo e della comunità”. Qual era questa “nuova” immagine, che non era affatto nuova se non in relazione all’esperienza molto forte vissuta? Era quella del Padre dell’infinita misericordia.  Ci è sempre stato chiaro che Dio è nostro Padre, Dio è il Padre buono, Dio è un Padre giusto, Dio è un Padre saggio. Però, l’esperienza fondamentale è quella di un Dio di infinita misericordia, che ci ama finanche nella nostra piccolezza, fragilità, peccato, cadute, e non per merito nostro; non perché siamo buoni, ma perché Egli è buono, ci ama. E perciò ci rende buoni. È un Dio che non pone condizioni e che non mi ama o perdona solo se faccio questo o quello … . No! Mi ama di un amore incondizionato. Egli non mi pone alcuna condizione. Crea nuovi presupposti nella mia vita, mi cambia la vita grazie al suo infinito Amore, assolutamente gratuito. Senza alcun merito, senza opere, al principio, solo grazie alla sua infinita misericordia. Questa è la grande esperienza e credo che sia l’insegnamento principale di questo Anno della Misericordia.

Punto d’incontro tra Papa Francesco e Padre Kentenich

Forse, è questo il punto in cui Papa Francesco, con il suo grande desiderio e con la sua inquietudine, coincide e si incontra – in questo Anno Santo della Misericordia – con il Padre Fondatore, in una stessa inquietudine, in uno stesso desiderio: nella convinzione che il messaggio della misericordia è ciò di cui l’uomo ha bisogno più di ogni altra cosa.

Senza dubbio, questo è il messaggio di Schoenstatt, il messaggio della nostra Alleanza e del nostro Santuario. Se Maria ci regala qualcosa nel Santuario, è proprio questa profonda esperienza dell’essere figli, figli amati, prediletti e perdonati a motivo di una predilezione da parte di Dio. Maria, quando ci accoglie nel Santuario, vuole che sentiamo che il Padre ci abbraccia nella Sua misericordia. Questa è la grande esperienza che vuole regalarci.

L’eredità del Padre e la missione di Schoenstatt

Ciò che ci ha lasciato in eredità, qui nella  nostra terra [argentina, ndr], nel Santuario nazionale, il santuario del Padre, è questo messaggio. Mi riferisco al messaggio del Padre, della missione di annunciare il Padre celeste anche attraverso i suoi rappresentanti sulla Terra – ovviamente, perché è l’unico modo di farlo. È il messaggio del Padre celeste e della sua infinita misericordia. Quando parliamo di corrente del Padre o della missione patrocentrica, parliamo di questo messaggio che per P. Kentenich era molto centrale nella sua vita  e che ha affidato come missione, in maniera tutta speciale a Schoenstatt e in particolare al nostro Schoenstatt argentino.

Credo che in questo Anno della Misericordia, del Padre della Misericordia, dovremmo chiedere a noi stessi e nella preghiera, in dialogo con Lui: “Come ti chiami, Signore?”.

Uno degli ultimi libri su Papa Francesco, molto bello, sul tema di questo Anno Santo, ha un titolo interessante, che è in realtà una frase di Papa Benedetto XVI: “Il nome di Dio è misericordia”. Un Dio che è Padre, un Dio che è Provvidenza, un Dio che è Misericordia.

Due dimensioni per vivere l’Anno della Misericordia

Questa è la chiave di lettura per vivere questo anno di grazia e per aprirci a ciò che la Mater nel Santuario vuole donarci. Una misericordia che, soprattutto, è esperienza di incontro con Lui, come il figliol prodigo, ma che è anche una misericordia che chiede di essere donata agli altri. Per questo parlo di due dimensioni. Il motto dell’Anno Santo dice: “Misericordiosi come il Padre”. Sperimentare la misericordia del Padre, per essere a nostra volta misericordiosi come il Padre.  Sono le due dimensioni: la prima è nel nostro incontro personale con Dio, nel perdono, nella misericordia, nell’esperienza di predilezione di Dio ; la seconda è nell’ esprimere, trasmettere misericordia a tutti i nostri fratelli. Nelle opere di misericordia corporali e spirituali, prendendosi cura di chi ha bisogno nel corpo e nello spirito. Esperienze anche nelle opere spirituali di incontro, dialogo, accoglienza; esperienza di:  perdono, insegnamento reciproco, mutua correzione, accettazione di chi la pensa diversamente, saper perdonare, lasciar andare divisioni che non servono a niente, tensioni, vendette. Tutte  cose che nella nostra patria dovremmo imparare e ricevere come dono in questo anno Santo della Misericordia.

Le due parabole che ci accompagnano per tutto l’anno sono quella del figliol prodigo (Lc 15, 11-32), ossia la misericordia di Dio che sperimentiamo come il figlio che è abbracciato dal padre nella sua grande misericordia; e la parabola del buon samaritano (Lc 10, 25-37), che ci indica come essere misericordiosi, come Lui, con chi è caduto e ferito.

Essere misericordiosi come il Padre perché abbiamo sperimentato come figli la sua misericordia nel profondo. Chiediamo alla Vergine Maria che ci regali questa profonda esperienza. Amen.

 

FiestaSion2016 022

(Testo della omelia pronunciata il giorno della Festa di Sion. Redazione e adattamento: Claudia Echenique)

Original: Italiano. Traduzione: Pamela Fabiano, Roma, Italia

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