Postato su 2017-04-24 In Missioni

Missione a Vico Equense 2017: per una Pasqua fuori dagli schemi

ITALIA, Federico Bauml •

Come da tradizione del movimento di Schoenstatt, anche quest’anno in Italia si è svolta la missione familiare in occasione della Settimana Santa.

Fuori dagli schemi

“C’erano una volta 28 italiani, un argentino, una brasiliana, un boliviano, una francese, cinque paraguaiani e un cane…”. Quella che potrebbe sembrare l’inizio di una divertente barzelletta è, in realtà, la composizione del gruppo della Missione italiana in occasione della Settimana Santa 2017: un gruppo eterogeneo, composto da adolescenti, famiglie, universitari, neolaureati e giovani lavoratori.

A fare da cornice alla missione 2017 – statisticamente, l’ottava della gioventù italiana, la quarta durante la settimana santa – il sole e il mare di Vico Equense, un gioiellieno nel cuore della Campania.

La partenza è prevista per il Giovedì santo: sveglia all’alba nel tentativo di evitare il traffico romano e arrivare a Vico il prima possibile. Negli occhi ancora semichiusi per via del sonno le emozioni sono diverse: gioia, curiosità, entusiasmo.

A Vico ci attende la liturgia del Giovedì santo, con la suggestiva cerimonia della lavanda dei piedi e la messa in coena domini, nella quale si rinnova il miracolo dell’eucaristia.

Giusto il tempo di una pizza (del resto, siamo in Campania) e siamo di nuovo alla parrocchia di San Ciro per guidare la meditazione, davanti al sepolcro ormai chiuso.

Venerdì e Sabato

Dopo aver dedicato la mattina alla visita di alcune case di riposo, il Venerdì pomeriggio arriva il momento del silenzio, della meditazione, della liturgia dedicata alla passione e morte di Gesù, il cui fulcro è la Via Crucis per le strade di Pacognano, piccolissima frazione alle porte di Vico.

Il Sabato mattina è, invece, dedicato alla missione “toc toc”, la visita della case di Vico, per portare alle persone del paese i saluti del parroco e fare gli auguri di buona Pasqua. Nel pomeriggio, abbiamo l’opportunità di incontrare il Vescovo della diocesi di Vico, pronto ad accoglierci con il tipico calore del meridione italiano.

Rapido gelato (siamo sempre in Campania), uno sguardo al mare e poi pronti per la preparazione della veglia notturna, momento più importante dell’anno liturgico, con l’onore e l’onere di partecipare alla tradizione locale inserendovi il nostro carisma.

Il sepolcro è vuoto, il buio lascia il posto alla luce, la morte cede il passo alla vita, il gloria e l’alleluia risuonano gioiosi e tornano al posto che gli spetta: Christos anesti! Alithos anesti!

Toc toc

Missione deriva dal latino “mitto”. Sfogliando il dizionario, il primo significato in cui ci si imbatte è il più comune, “inviare”, ma basta scendere di una riga che se ne trovano anche altri: “regalare”, “dedicare”, “lasciar partire”, “abbandonare” e così via.

Alla fine, partire per la missione è anche e soprattutto questo: regalarsi, lasciarsi andare. Si parte in un modo e si torna, sempre, un po’ diversi. E non importa quante missioni tu abbia fatto, o quale sia la tua età, perché ogni volta è una “prima missione”, che avrà sempre qualcosa di diverso da offrire.

Gesù ci ha detto “bussate e vi sarà aperto”, e il nostro “toc toc” è lì a ricordarci proprio quello.

Perché è vero che la missione ci porta a fare qualcosa verso gli altri, e che ogni volta che qualcuno ci apre la porta, e con lei la sua casa e una parte della sua vita, è un’emozione incredibile; e la speranza è sempre quella di portare un po’ di gioia e un bel ricordo nelle persone che incontreremo.

Ma è altrettanto vero che i primi destinatari della missione siamo proprio noi, perché quel brivido che arriva subito dopo aver bussato ci ha già cambiati ancor prima di scoprire se la porta si aprirà o meno.

Perché è bello sapere di avere un angelo custode, e di poter essere un angelo custode. Perché quell’atmosfera da viaggio di istruzione creata dai ragazzi contagia tutti. Perché andare controcorrente è meno faticoso se lo si fa insieme, e anche gli squali fanno un po’ meno paura. Perché vedere i frutti di ciò che si è seminato è un privilegio concesso solo a pochi. Perché cantando si prega due volte, e forse anche tre o quattro, e una chitarra e un sorriso possono fare la differenza. Perché se offri uno, ti ritornerà indietro dieci.

Don Tonino Bello, in una meditazione sul Sabato Santo, rivolge a Maria queste meravigliose parole: “Destaci dall’impazienza del suo domenicale ritorno. Adornaci di vesti nuziali. Per ingannare il tempo, mettiti accanto a noi e facciamo le prove dei canti. Perché qui le ore non passano mai”.

Senza di Lei a guidarci e a permetterci di essere le sue gambe, questi giorni non sarebbero stati così speciali.

La vera missione comincia adesso. MPHC.

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