Postato su 2011-10-17 In Riflessioni e opinioni

18 ottobre 2011: Comincia l’”Anno del Santuario”

P. Alberto Eronti. Quando nel 1912 il Padre Kentenich è stato nominato Direttore Spirituale del Seminario Minore dei Padri Pallottini, ha assunto l’incarico con totale coscienza del suo compito. Non solo professore di latino, bensì formatore dei giovani. La sua proposta psicologica, per così definirla, si concentra in quello che potremmo chiamare il “suo programma”: “Sotto la protezione di Maria vogliamo imparare a educare noi stessi…”.

 


Quello che si deve notare sono gli accenti:

Sotto la protezione di Maria.
Vogliamo imparare a educarci.

Per Padre Kentenich è chiaro fin dal principio, che non si tratta di un’educazione, che solo si “riceve”, bensì che si tratta di avere un’Educatrice (dimensione verticale), un alunno che sia protagonista della sua formazione e una comunità (dimensioni orizzontali). Per lui l’educazione è auto educazione e un apprendistato in una comunità. Da qui per lui la meta è: “l’uomo nuovo nella comunità nuova”. La comunità nasce da una comunità e si fa in una comunità. All’avere il “programma” ben chiaro, il Padre cercava qualcosa di più. Qualcosa che era nel suo cuore e nella sua mente, quello che lo manteneva attento, come chi scruta l’orizzonte cercando il segnale. Quest’idea arriva nelle sue mani in autunno del 1914 attraverso una rivista, in cui c’era un articolo con la storia del Santuario di Pompei, in Italia. Il Padre lo racconta così: “Molto spontaneamente, è sorta in me la domanda: Non si potrebbe progettare qui qualcosa di simile?”. Ed è così come il Padre ha interpretato ed unito la sua condizione di educatore e la necessità di educare con “la forza dall’alto“ Lc.1,35)

La storia di Pompei è stata la maniera, che Dio ha avuto di segnalare al nostro Fondatore il cammino da seguire. Parlando di quest’esperienza dirà che quel giorno non se gli era aperta una porta, bensì “una fessura”. L’articolo ha influito molto sul suo interiore e il Padre ha fatto dell’esperienza provvidenziale, un atto di “fede pratica”. Ecco qui l’origine di quello che è oggi il Santuario e la Famiglia di Schoenstatt.

Impressiona l’agire di Dio. La piccola Cappella della Valle era abbandonata per la pratica religiosa, si era trasformata in un deposito di cose varie. Piccola, abbandonata e sporca, la piccola edificazione era un “nulla”. Il Padre interpreta il significato di questa enorme povertà: “Quante volte nella storia del mondo è stato il piccolo l’insignificante l’origine del grande e del più grande”.

Quella che conosciamo in Schoenstatt, come “la legge della risultante creatrice”, ha dimostrato che l’interpretazione che aveva fatto il Padre, era accertata. Non solo accertata, bensì che la stessa “risultante creatrice”, ha deciso il Padre della Famiglia di parlare di una “vera irruzione divina” nell’origine di Schoenstatt. Dirà che tutto questo era stato possibile per la Fede Pratica nella Divina Provvidenza. Quest’esperienza sarà decisiva nella vita del Padre Fondatore. Questa fede pratica per lui è la bussola di tutte le sue decisioni ed opzioni. È come se ci dicesse: “una volta che si ha la certezza dell’irruzione di Dio, tutto quello che segue deve essere conseguenza di quell’esperienza fondamentale”.

Il Padre tenta lasciare ben chiaro, che cosa intende lui per la fede nella Divina Provvidenza. Nell’anno 1963 a Milwaukee lo spiega così:

Osservate (…) che per la mentalità femminile, il tema della Divina Provvidenza ha un’altra sfumatura di quella che abbiamo l’abitudine darle. Tenetelo presente. Quando oggi la gente pratica la fede nella Divina Provvidenza, suole farlo piuttosto passivamente. Come abbiamo considerato sempre la Fede nella Divina Provvidenza? Una nozione che fa parte di una spiritualità maschile (…) La Fede nella Divina Provvidenza ci propone compiti. Non solo il compito di dire “ sì” e tacere, bensì un altro compito: Dio ci ha comunicato qualcosa mediante la Fede nella Divina Provvidenza (…). Si tratta, perciò, di una fede nella Divina provvidenza, che non solo scopre i disegni di Dio, bensì che anche li realizza. Ci sono compiti che si devono realizzare!.

Così come ciascun uomo, che vuole svilupparsi pienamente ha bisogno del complemento femminile, anche la donna ha bisogno del complemento dell’uomo. È più proprio dell’uomo che della donna l’“agire”. È a questo che si riferisce Padre Kentenich ad accentuare il tono “maschile” della Fede Pratica nella Divina Provvidenza. “Pratica” significa fare, agire, realizzare, immaginare, con Dio.

Sebbene sia certo, che quello della “fede maschile” non è una generalizzazione (ci sono donne che hanno fatto cose inimmaginabili). Ma è certo che si tratta di una realtà più tipica dell’uomo, perciò il Padre termina il suo pensiero dicendo:

“La nostra fede nella Divina Provvidenza è interamente maschile; una fede attiva, non passiva. Non è una fede che semplicemente accetta e sopporta, bensì che anche (…) ci affida il lavoro di trasformare in realtà il compito che si è scoperto alla luce della fede”

Applicata questa legge al Santuario, constatiamo che quando la ricerca del Padre è giunta alla sua fine, decisamente si è lanciato. Era solamente una “fessura”, non era un’evidenza totale, ma è bastata, affinché lui si decidesse ad agire. Perciò affermerà che “Schoenstatt è figlio della Fede Pratica nella Divina Provvidenza”.

In quest’anno che chiamiamo “del Santuario”, vogliamo cominciare meditando la sua origine provvidenziale. Per la fede pratica Dio ci ha dato un “bel luogo”, un luogo di grazie, un luogo dove abbiamo la certezza che Maria è qui, c’è e agisce. C’è per noi e agisce in noi. Per percepire chiaramente questo esserci e agire dobbiamo allenarci in e per la fede Pratica nella Divina Provvidenza. È quest’esperienza quello che cambia la vita e ci porta a dire con Giacobbe: “Dio è qui ed io non lo sapevo” . Sì, Maria è nel Santuario, lo sappiamo, ma dobbiamo sperimentare la sua presenza, la sua azione e la sua cura per noi. È così come Santuario e fede pratica si uniranno, e allora la nostra vita sarà un luogo d’incontro. Sperimenteremo l’accoglienza, la trasformazione e la necessità di vivere nel e dal Santuario.

 

Traduzione: Maria Tedeschi, La Plata, Argentina

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