Postato su 2015-09-29 In Vivere l’Alleanza

Il Cammino di Santiago made by Giurcap: 28 Luglio – 5 Agosto 2015

ITALIA, Thea Serpi •

All’aeroporto di Fiumicino, una frizzante tensione si espande nell’aria di prima mattina, quando siamo ormai pronti (o forse no) per l’avventura tanto attesa e pregustata.

Dietro le preoccupazioni imperanti per le scarpe più adatte, il peso dello zaino, il cibo lungo la strada, la pulizia degli ostelli, si cela un’euforia che emana dal profondo del cuore, per l’aspettativa più eccitante: trovare, alla fine del cammino, le risposte ai nostri più angosciosi interrogativi. Questa, per ciascuno di noi, era la meta, Santiago de Compostela.

È trascorsa una settimana e siamo già di ritorno. Roma ci accoglie nel pieno caldo umido dell’estate, riportandoci violentemente alla realtà, che a volte toglie il fiato.

È il tempo di correre con la memoria, e di ripercorrere l’esperienza vissuta, di trattenere le immagini e custodire gli insegnamenti appresi.

Un vuoto che è libertà, distacco dalla quotidianità

Un gruppo di 28 ragazzi, chi più giovane, chi più saggio, chi più allenato, chi più silenzioso, chi più affaticato.

Siamo stati uniti e abbiamo condiviso tanto, tutto direi, ma ora ciascuno di noi si ritrova a fare i conti con se stesso, a dare un senso personale a questi chilometri percorsi, proprio come in genere si fa, quando una parentesi temporale si chiude, quando un evento ci colpisce, insomma quando si dà un valore alle esperienze della vita.

Per condensare un’esperienza in un messaggio, come ci insegna Padre Alfredo, spesso si ricorre alla metafora, ed è in questo modo, in effetti, che mi risulta più facile mettere a fuoco quanto è successo in questo tempo così denso di spiritualità, di contatto con la natura e con la mia umanità.

Mi basta un attimo per rendermi conto degli effetti benefici del pellegrinaggio sul mio corpo e nel mio spirito. Non posso negare che per me questa settimana è stata una vacanza, perché questo è il significato autentico della parola: dal latino vacans, vuoto. Un vuoto che è libertà, distacco dalla quotidianità e da tutto ciò che riempie le giornate durante l’anno, in cui spesso ci si perde e non ci si riconosce più.

Ultreya, Suseya! Deus adiuva nos!

Ma cosa distingueva questa vacanza da ogni altra vacanza estiva degli anni passati?
Una domanda che mi ponevo spesso, mentre camminavo sull’asfalto, tra le vigne e i campi di granturco che sfilavano via sotto il mio sguardo contemplativo, giorno dopo giorno. La risposta è emersa da sé in un momento di silenzio e fatica, quando ascoltavo solo il suono cadenzato dei miei passi e gli altri “compañeros” erano un po’ avanti, cantando e scherzando.

Attraversavo spazi e mi lasciavo indietro il tempo, giorni apparentemente sempre uguali, da affrontare con metodicità, alzandosi di buon ora, facendo rifornimento di cibo, riposando e lavando i pochi panni a disposizione. Piano piano, stavo andando avanti e la meta fisica, Santiago, era sempre più vicina. Non stavo scendendo e salendo da un monte, come durante un’escursione in montagna. Stavo andando sempre avanti, senza tornare al punto di partenza, senza mai guardarmi indietro. Sapevo, senza troppe angosce, che presto o tardi sarei arrivata.

Ultreya, Suseya! Deus adiuva nos! Ripetevamo ogni mattina all’alba. Tutto ciò mi infondeva serenità e coraggio, per mettere un altro passo dietro il precedente, anche quando la fatica faceva capolino o mi sentivo più sola.

Il pellegrinaggio

Ed ecco che la vacanza – questa vacanza – assumeva i contorni di una bellissima metafora.
Il cammino, o meglio il pellegrinaggio, e tutto ciò che in esso accadeva, non era altro che la parabola della vita.

Grazie al ritiro, alla libertà di quei giorni, ho potuto rallentare e osservare meglio, come una spettatrice esterna, lo svolgersi incessante di questa vita. Ero insieme lettrice e protagonista di quella storia.

Camminare, bilanciare le forze fisiche, condividere con gli altri nervosismi e risate, lasciarsi aiutare, chiedere aiuto e offrire la propria presenza, né più né meno l’essenza della nostra esistenza quotidiana.

Sono passati solo pochi giorni da quando si è conclusa questa parentesi metaforica, eppure quell’energia positiva che avevo accumulato e serbato, desiderando con tutte le migliori intenzioni che non si dissipasse mai, sembra avermi abbandonato. Troppo ingenuo pensare che quella breve vacanza, vissuta in un’altra dimensione, potesse assomigliare alla vita misera e ripetitiva di ogni giorno. Forse il mio voler attribuire un senso al cammino era stato solo un esercizio poetico.

È così che la malinconia si insinua nel mio cuore, da un momento all’altro in cui vince l’abbandono e non so più qual è la meta.

Le immagini di tutti i momenti di preghiera personali e collettivi che hanno scandito il nostro pellegrinaggio

Ad ogni modo, un’altra settimana è trascorsa, ed è già Domenica, nonché l’ora della Messa. Entrando in Chiesa con passo flemmatico, improvvisamente sento un calore espandersi con effervescenza dall’interno fino alla periferia del mio corpo. Non posso guardarmi, ma in quel momento credo di essere commossa, come accade quando ancora ci si meraviglia di alcuni piccoli miracoli giornalieri.

Mentre il sacerdote celebra e richiama i fedeli a pronunciare a gran voce la preghiera del Padre Nostro, mi sento più forte e ritornano vivide alla mente le immagini di tutti i momenti di preghiera personali e collettivi che hanno scandito il nostro pellegrinaggio.

Il raccoglimento mattutino al buio, la distribuzione dei foglietti di carta contenenti le intenzioni di chi si era affidato a noi, il rosario recitato ad alta voce sulle salite in mezzo ai paesini deserti, la Messa quotidiana organizzata da Padre Alfredo e Padre Jesus in qualsiasi posto potessimo radunarci tutti, i canti spagnoli e la chitarra dolce dei misioneros.

È stata un’intuizione

Ho capito finalmente che la positività e la serenità che mi avevano dominata nei giorni del cammino non erano altro che la manifestazione della mia Fede, alimentata dalla potenza della preghiera. Già durante il pellegrinaggio mi ero stupita, a dispetto delle mie originarie considerazioni, di come per nulla potesse tradursi in un peso, quel pregare giornaliero e scandito, ma solo al mio ritorno, una volta di nuovo alla presenza di Gesù, mi sono accorta che la fonte della mia serenità era stata la Sua stretta vicinanza e la Sua presenza in mezzo a noi.

Alla fine dei conti, credo che per tutti i pellegrini, che si rivolgano a San Giacomo o a San Pietro, aldilà delle risposte che cercano ai dolori terreni, e alle fatiche affrontate per sopportare il peso del proprio zaino (o della propria croce…perdonate un’altra metafora!), la purificazione della propria anima, quella necessità di leggerezza e rassicurazione, passi attraverso la preghiera, il ringraziamento, e la consapevolezza che Dio cammina con noi.

Fonte: Giurcap – Cappellania di Giurisprudenza – Roma Tre www.facebook.com/giurcap.roma3?ref=hl

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