Postato su 2014-12-28 In Francesco - messaggio

Dio “quella notte” ha assunto la fragilità, le sofferenze, le angustie…

FRANCESCO IN ROMA, mda. “La Liturgia della Santa Notte di Natale ci presenta la nascita del Salvatore come una luce che irrompe e fa scomparire la più densa oscurità. La presenza del Signore in mezzo al suo popolo libera dal peso della sconfitta e dalla tristezza della schiavitù, e instaura la gioia e il godimento “. Il Papa Francesco ha cominciato con queste parole l’omelia della Santa Messa di Natale, che ha celebrato alle ore 21,30 di Roma nella Basilica di San Pietro. Ha riflettuto sulla figura dei pastori e risaltato che il Messia voleva rivelarsi agli umili. Ha anche distaccato che la proposta del Natale non è andare alla ricerca del Signore, bensì lasciarsi vedere ed accarezzare dall’affetto divino.

La predica del Santo Padre ha avuto come punto di partenza l’atteggiamento dei pastori, gli umili, a cui l’angelo ha annunciato le venuta del Messia. Francesco ha risaltato il modo in cui il Salvatore ha deciso venire al mondo: lo ha fatto come un bambino in mezzo alla povertà. E la descrizione data ai pastori: un bambino avvolto in pannolini in un presepe.

Cari fratelli e sorelle, in quella notte santa abbiamo contemplato la culla. Il popolo che camminava nella nebbia ha visto una gran luce. Dio ha visto la gente semplice, disposta ad accettare il regalo di Dio. Ma non ha visto gli arroganti, i superbi, coloro che stabiliscono le leggi secondo il proprio criterio personale, coloro che assumono atteggiamenti d’isolamento”, ha osservato il Papa.

“Guardiamo la culla e preghiamo chiedendo alla Madonna: O Maria, mostraci a Gesù’”, ha proposto il Papa alla fine della sua omelia.


Il testo dell’omelia papale:

 

«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1). «Un angelo del Signore si presentò [ai pastori] e la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,9). Così la liturgia di questa santa notte di Natale ci presenta la nascita del Salvatore: come luce che penetra e dissolve la più densa oscurità. La presenza del Signore in mezzo al suo popolo cancella il peso della sconfitta e la tristezza della schiavitù, e instaura la gioia e la letizia.
Anche noi, in questa notte benedetta, siamo venuti alla casa di Dio attraversando le tenebre che avvolgono la terra, ma guidati dalla fiamma della fede che illumina i nostri passi ed animati dalla speranza di trovare la “gran luce”. Aprendo il nostro cuore, abbiamo anche noi la possibilità di contemplare il miracolo di quel bambino-sole che rischiara l’orizzonte sorgendo dall’alto.
L’origine delle tenebre che avvolgono il mondo si perde nella notte dei tempi. Ripensiamo all’oscuro momento in cui fu commesso il primo crimine dell’umanità, quando la mano di Caino, accecato dall’invidia, colpì a morte il fratello Abele (cfrGen 4,8). Così, il corso dei secoli è stato segnato da violenze, guerre, odio, sopraffazione. Ma Dio, che aveva riposto le proprie attese nell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza, aspettava. Dio aspettava. Egli ha atteso talmente a lungo che forse ad un certo punto avrebbe dovuto rinunciare. Invece non poteva rinunciare, non poteva rinnegare sé stesso (cfr 2 Tm 2,13). Perciò ha continuato ad aspettare con pazienza di fronte alla corruzione di uomini e popoli. La pazienza di Dio. Quanto è difficile capire questo: la pazienza di Dio verso di noi!
Lungo il cammino della storia, la luce che squarcia il buio ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione. In questo consiste l’annuncio della notte di Natale. Dio non conosce lo scatto d’ira e l’impazienza; è sempre lì, come il padre della parabola del figlio prodigo, in attesa di intravedere da lontano il ritorno del figlio perduto; e tutti i giorni, con pazienza. La pazienza di Dio.
La profezia di Isaia annuncia il sorgere di una immensa luce che squarcia il buio. Essa nasce a Betlemme e viene accolta dalle mani amorevoli di Maria, dall’affetto di Giuseppe, dallo stupore dei pastori. Quando gli angeli annunciarono ai pastori la nascita del Redentore, lo fecero con queste parole: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Il “segno” è proprio l’umiltà di Dio, l’umiltà di Dio portata all’estremo; è l’amore con cui, quella notte, Egli ha assunto la nostra fragilità, la nostra sofferenza, le nostre angosce, i nostri desideri e i nostri limiti. Il messaggio che tutti aspettavano, quello che tutti cercavano nel profondo della propria anima, non era altro che la tenerezza di Dio: Dio che ci guarda con occhi colmi di affetto, che accetta la nostra miseria, Dio innamorato della nostra piccolezza.
In questa santa notte, mentre contempliamo il Bambino Gesù appena nato e deposto in una mangiatoia, siamo invitati a riflettere. Come accogliamo la tenerezza di Dio? Mi lascio raggiungere da Lui, mi lascio abbracciare, oppure gli impedisco di avvicinarsi? “Ma io cerco il Signore” – potremmo ribattere. Tuttavia, la cosa più importante non è cercarlo, bensì lasciare che sia Lui a cercarmi, a trovarmi e ad accarezzarmi con amorevolezza. Questa è la domanda che il Bambino ci pone con la sua sola presenza: permetto a Dio di volermi bene?
E ancora: abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto, oppure preferiamo le soluzioni impersonali, magari efficienti ma prive del calore del Vangelo? Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo! Pazienza di Dio, vicinanza di Dio, tenerezza di Dio.
La risposta del cristiano non può essere diversa da quella che Dio dà alla nostra piccolezza. La vita va affrontata con bontà, con mansuetudine. Quando ci rendiamo conto che Dio è innamorato della nostra piccolezza, che Egli stesso si fa piccolo per incontrarci meglio, non possiamo non aprirgli il nostro cuore, e supplicarlo: “Signore, aiutami ad essere come te, donami la grazia della tenerezza nelle circostanze più dure della vita, donami la grazia della prossimità di fronte ad ogni necessità, della mitezza in qualsiasi conflitto”.
Cari fratelli e sorelle, in questa notte santa contempliamo il presepe: lì «il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1). La vide la gente semplice, la gente disposta ad accogliere il dono di Dio. Al contrario, non la videro gli arroganti, i superbi, coloro che stabiliscono le leggi secondo i propri criteri personali, quelli che assumono atteggiamenti di chiusura. Guardiamo il presepe e preghiamo, chiedendo alla Vergine Madre: “O Maria, mostraci Gesù!”.

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