Postato su 2013-10-23 In Francesco - messaggio

Chiesa aperta, chiesa apostolica

org. Tutte le classi della Chiesa, e molte altre al di fuori, credenti o no, hanno ricevuto le sue parole chiare e piene di speranza, al contempo colme di motivazione, per assumere la responsabilità che tutti abbiamo di costruire un mondo secondo il volere di Dio, nella forza dello Spirito e per il sentiero di Cristo. I Cardinali e i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i novizi e i seminaristi, le famiglie, i giovani e gli anziani, le comunità e le istituzioni hanno ricevuto questa proposta di uscire “per la strada”, a portare non una speranza utopica, bensì fatti concreti, progetti evangelizzatori di vita all’uomo, ovunque si trovi, e se è nella “periferia”, lì stesso, con tutti i rischi e i pericoli che porta. Preferisco una Chiesa accidentata, perché esce a servire, che è ammalata per essere chiusa in sé stessa, ci ripete costantemente. Tutto ciò si trova in Schoenstatt.org, dove si custodiscono di settimana in settimana i testi che ci incitano ad andare in pellegrinaggio verso il Giubileo 2014. Indubbiamente essendo noi Chiesa, queste parole sono rivolte a noi. Come sarebbe contento il Padre con questo impulso missionario, che ci è regalato dal cuore stesso della Chiesa (P. José Maria Garcia)

SETTIMANA 43/2013

La Chiesa è apostolica perché è inviata a portare il Vangelo a tutto il mondo.. Continua nel cammino della storia la missione stessa che Gesù ha affidato agli Apostoli: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19-20). Questo è ciò che Gesù ci ha detto di fare! Insisto su questo aspetto della missionarietà, perché Cristo invita tutti ad “andare” incontro agli altri, ci invia, ci chiede di muoverci per portare la gioia del Vangelo! Ancora una volta chiediamoci: siamo missionari con la nostra parola, ma soprattutto con la nostra vita cristiana, con la nostra testimonianza? O siamo cristiani chiusi nel nostro cuore e nelle nostre chiese, cristiani di sacrestia? Cristiani solo a parole, ma che vivono come pagani? Dobbiamo farci queste domande, che non sono un rimprovero. Anch’io lo dico a me stesso: come sono cristiano, con la testimonianza davvero?

Udienza Generale, 16 ottobre 2013

La Chiesa ha le sue radici nell’insegnamento degli Apostoli, testimoni autentici di Cristo, ma guarda al futuro, ha la ferma coscienza di essere inviata – inviata da Gesù –, di essere missionaria, portando il nome di Gesù con la preghiera, l’annuncio e la testimonianza. Una Chiesa che si chiude in se stessa e nel passato, una Chiesa che guarda soltanto le piccole regole di abitudini, di atteggiamenti, è una Chiesa che tradisce la propria identità; una Chiesa chiusa tradisce la propria identità! Allora, riscopriamo oggi tutta la bellezza e la responsabilità di essere Chiesa apostolica! E ricordatevi: Chiesa apostolica perché preghiamo – primo compito – e perché annunciamo il Vangelo con la nostra vita e con le nostre parole.

Udienza Generale, 16 ottobre 2013

Apostolo ha un inizio gioioso, entusiasta, con Dio dentro; ma non gli è risparmiato il tramonto. E, ha confidato, «a me fa bene pensare al tramonto dell’apostolo». Il pensiero è quindi andato a «tre icone»: Mosè, Giovanni il Battista e Paolo. Mosè è «quel capo del popolo di Dio, coraggioso, che lottava contro i nemici e lottava anche con Dio per salvare il popolo. È forte, ma alla fine si ritrova solo sul monte Nebo a guardare la terra promessa», nella quale però non può entrare. Anche al Battista «negli ultimi tempi non vengono risparmiate le angosce». Si domanda se ha sbagliato, se ha preso la vera strada, e ai suoi amici chiede di andare a domandare a Gesù «sei tu o dobbiamo aspettare ancora?». È tormentato dall’angoscia; al punto che «l’uomo più grande nato da donna», come lo ha definito Cristo stesso, finisce «sotto il potere di un governante debole, ubriaco e corrotto, sottoposto al potere dell’invidia di un’adultera e del capriccio di una ballerina». Infine c’è Paolo, il quale confida a Timoteo tutta la sua amarezza. Per descriverne la sofferenza, il vescovo di Roma ha usato l’espressione «non è nel settimo cielo». E ha poi riproposto le parole dell’apostolo: «Figlio mio, Dema mi ha abbandonato, avendo preferito le cose di questo mondo; Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi con te Marco e portalo, mi sarà utile; portami il mantello che ho lasciato, i libri e le pergamene. E ancora: Alessandro, il fabbro, mi ha procurato molti danni. Anche tu guardati da lui, perché si è accanito contro la nostra predicazione». Il Papa ha proseguito ricordando il racconto che Paolo fa del processo: «nella prima difesa nessuno mi ha assistito, tutti mi hanno abbandonato, però il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annunzio del Vangelo». Un’immagine che, secondo il Pontefice, racchiude in sé il «tramonto» di ogni apostolo: «solo, abbandonato, tradito»; assistito soltanto dal Signore che «non abbandona, non tradisce», perché «Lui è fedele, non può rinnegare se stesso». La grandezza dell’apostolo — ha sottolineato il Papa — sta dunque nel fare con la vita quello che il Battista diceva: «è necessario che lui cresca e io diminuisca»; l’apostolo è colui «che dà la vita perché il Signore cresca. E alla fine c’è il tramonto». È stato così anche per Pietro, ha fatto notare Papa Francesco, al quale Gesù ha predetto: «Quando tu sarai vecchio ti porteranno dove tu non vorrai andare». La meditazione sulle fasi finali delle vite di questi personaggi ha così suggerito al Santo Padre «il ricordo di quei santuari di apostolicità e di santità che sono le case di riposo dei preti e delle suore». Strutture che ospitano, ha aggiunto, «bravi preti e brave suore, invecchiati, con il peso della solitudine, che aspettano che venga il Signore a bussare alla porta dei loro cuori». Purtroppo, ha commentato il Papa, noi tendiamo a dimenticare questi santuari: «non sono posti belli, perché uno vede cosa ci aspetta». Di contro però «se guardiamo più nel profondo, sono bellissimi», per la ricchezza di umanità che vi è dentro. Visitarli dunque significa fare «veri pellegrinaggi, verso questi santuari di santità e di apostolicità», alla stessa stregua dei pellegrinaggi che si fanno nei santuari mariani o in quelli dedicati ai santi. «Ma mi chiedo — ha aggiunto il Papa — noi cristiani abbiamo la voglia di fare una visita — che sarà un vero pellegrinaggio! — a questi santuari di santità e di apostolicità che sono le case di riposo dei preti e delle suore? Uno di voi mi diceva, giorni fa, che quando andava in un Paese di missione, andava al cimitero e vedeva tutte le tombe dei vecchi missionari, preti e suore, lì da 50, 100, 200 anni, sconosciuti. E mi diceva: “Ma, tutti questi possono essere canonizzati, perché alla fine conta soltanto questa santità quotidiana, questa santità di tutti i giorni”». Nelle case di riposo «queste suore e questi preti — ha detto il Papa — aspettano il Signore un po’ come Paolo: un po’ tristi, davvero, ma anche con una certa pace, col volto allegro». Proprio per questo fa «bene a tutti pensare a questa tappa della vita che è il tramonto dell’apostolo». E, concludendo, ha chiesto di pregare il Signore di custodire i sacerdoti e le religiose che si trovano nella fase finale della loro esistenza, affinché possano ripetere almeno un’altra volta «sì, Signore, voglio seguirti».

Santa Marta, 18 ottobre 2013

E’ ormai alle porte l’Anno internazionale che, per iniziativa della FAO, sarà dedicato alla famiglia rurale. Questo fatto mi offre l’opportunità di proporre un terzo elemento di riflessione: l’educazione alla solidarietà e ad uno stile di vita che superi la “cultura dello scarto” e metta realmente al centro ogni persona e la sua dignità, parte dalla famiglia. Da questa, che è la prima comunità educativa, si impara ad avere cura dell’altro, del bene dell’altro, ad amare l’armonia della creazione e a godere e condividere i suoi frutti, favorendo un consumo razionale, equilibrato e sostenibile. Sostenere e tutelare la famiglia affinché educhi alla solidarietà e al rispetto, è un passo decisivo per camminare verso una società più equa e umana. La Chiesa cattolica percorre con voi queste strade, consapevole che la carità, l’amore è l’anima della sua missione. Che l’odierna celebrazione non sia una semplice ricorrenza annuale, ma una vera occasione per provocare noi stessi e le istituzioni ad operare secondo una cultura dell’incontro e della solidarietà, per dare risposte adeguate al problema della fame e della malnutrizione e alle altre problematiche che riguardano la dignità di ogni essere umano.

Messaggio del Santo Padre Francesco
per la Giornata Mondiale della Alimentazione, 16 ottobre 2013

Il Pontefice ha incentrato la sua omelia sul brano evangelico di Luca (11, 47-54) che riporta il monito di Gesù ai dottori della legge — «Guai a voi che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito» — associandovi l’immagine di «una chiesa chiusa» nella quale «la gente che passa davanti non può entrare» e da dove «il Signore che è dentro non può uscire». Da qui il richiamo a quei «cristiani che hanno in mano la chiave e la portano via, non aprono la porta»; o peggio, «si fermano alla porta» e «non lasciano entrare». Ma qual è la causa di tutto ciò? Il Santo Padre l’ha individuata nella «mancanza di testimonianza cristiana», che appare ancora più grave se il cristiano in questione «è un prete, un vescovo, un Papa». Del resto, Gesù è molto chiaro quando dice: «Andate, uscite fino ai confini del mondo. Insegnate quello che io ho insegnato. Battezzate, andate ai crocevia delle strade e portate tutti dentro, buoni e cattivi. Così dice Gesù. Tutti dentro!». Nel cristiano che assume «questo atteggiamento di “chiave in tasca e porta chiusa”» c’è, secondo il Pontefice, «tutto un processo spirituale e mentale» che porta a far passare la fede «per un alambicco», trasformandola in «ideologia». Ma «l’ideologia — ha avvertito — non convoca. Nelle ideologie non c’è Gesù. Gesù è tenerezza, amore, mitezza, e le ideologie, di ogni segno, sono sempre rigide». Tanto che rischiano di rendere il cristiano «discepolo di questo atteggiamento di pensiero» piuttosto che «discepolo di Gesù». Perciò è ancora attuale il rimprovero di Cristo: «Voi avete portato via la chiave della conoscenza», poiché «la conoscenza di Gesù è trasformata in una conoscenza ideologica e anche moralista», secondo lo stesso comportamento dei dottori della legge che «chiudevano la porta con tante prescrizioni». Il Papa ha ricordato in proposito un altro monito di Cristo — quello contenuto nel capitolo 23 del vangelo di Matteo — contro scribi e farisei che «legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente». È proprio a causa di questi atteggiamenti, infatti, che si innesca un processo per cui «la fede diventa ideologia e l’ideologia spaventa! L’ideologia caccia via la gente e allontana la Chiesa dalla gente». Papa Francesco ha definito «una malattia grave questa dei cristiani ideologici»; ma si è anche detto consapevole che si tratta di «una malattia non nuova». Già ne aveva parlato l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera, descrivendo i «cristiani che perdono la fede e preferiscono le ideologie»: il loro «atteggiamento è diventar rigidi, moralisti, eticisti, ma senza bontà». Occorre allora chiedersi che cosa è che provoca «nel cuore di quel cristiano, di quel prete, di quel vescovo, o di quel Papa», un atteggiamento del genere. Per Papa Francesco la risposta è semplice: «Quel cristiano non prega. E se non c’è la preghiera», si chiude la porta. Dunque «la chiave che apre la porta alla fede è la preghiera». Perché «quando un cristiano non prega, la sua testimonianza è superba». Ed egli stesso è «un superbo, è un orgoglioso, è uno sicuro di sé, non è umile. Cerca la propria promozione. Invece, quando un cristiano prega non si allontana dalla fede: parla con Gesù». Il Santo Padre ha puntualizzato in proposito che il verbo «pregare» non significa «dire preghiere», perché anche i dottori della legge «dicevano tante preghiere», ma solo «per farsi vedere». Infatti «una cosa è pregare e un’altra è dire preghiere». In quest’ultimo caso si abbandona la fede, trasformandola appunto «in ideologia moralista» e «senza Gesù». Coloro che pregano come i dottori della legge, secondo il Pontefice, reagiscono allo stesso modo «quando un profeta o un buon cristiano li rimprovera», utilizzando lo stesso metodo che fu utilizzato contro Gesù: «Quando fu uscito di là gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile — ha detto ripetendo le parole del brano evangelico — e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie». Per sorprenderlo con qualche parola «uscita dalla sua stessa bocca». Perché, ha commentato, «questi ideologici sono ostili e insidiosi! Non sono trasparenti! E, poverini, sono gente sporcata dalla superbia!». Ecco allora l’invito conclusivo a chiedere al Signore la grazia di non smettere mai «di pregare per non perdere la fede» e di «rimanere umili» in modo da non diventare persone chiuse «che chiudono la strada al Signore».

Santa Marta, 17 ottobre 2013

L’obiettivo del pellegrinaggio
è il rinnovamento dell’Alleanza d’Amore
nella sua forza plasmatrice e missionaria;
quella che si manifesterà – al didentro di Schoenstatt-,
nel rinnovamento della Famiglia
e al di fuori nella forgiatura di una Cultura d’Alleanza

Documento del Lavoro 2014

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