Postato su 2014-03-13 In Francesco - messaggio

‘Dammi la metà della tua misericordia’

org. Tutte le classi della Chiesa, e molte altre al di fuori, credenti o no, hanno ricevuto le sue parole chiare e piene di speranza, al contempo colme di motivazione, per assumere la responsabilità che tutti abbiamo di costruire un mondo secondo il volere di Dio, nella forza dello Spirito e per il sentiero di Cristo. I Cardinali e i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i novizi e i seminaristi, le famiglie, i giovani e gli anziani, le comunità e le istituzioni hanno ricevuto questa proposta di uscire “per la strada”, a portare non una speranza utopica, bensì fatti concreti, progetti evangelizzatori di vita all’uomo, ovunque si trovi, e se è nella “periferia”, lì stesso, con tutti i rischi e i pericoli che porta. Preferisco una Chiesa accidentata, perché esce a servire, che è ammalata per essere chiusa in sé stessa, ci ripete costantemente. Tutto ciò si trova in Schoenstatt.org, dove si custodiscono di settimana in settimana i testi che ci incitano ad andare in pellegrinaggio verso il Giubileo 2014. Indubbiamente essendo noi Chiesa, queste parole sono rivolte a noi. Come sarebbe contento il Padre con questo impulso missionario, che ci è regalato dal cuore stesso della Chiesa (P. José Maria Garcia)

SETTIMANA 11/2014

 

La Quaresima è un tempo proprio per le rinunce. Priviamoci ogni giorno di qualcosa per aiutare agli altri.

Tweet 7/3/2014

In quel tempo, io ero Vicario generale e abitavo nella Curia, e ogni mattina, presto, scendevo al fax per guardare se c’era qualcosa. E la mattina di Pasqua ho letto un fax del superiore della comunità: “Ieri, mezz’ora prima della Veglia Pasquale, è mancato il padre Aristi, a 94 – o 96? – anni. Il funerale sarà il tal giorno…”. E la mattina di Pasqua io dovevo andare a fare il pranzo con i preti della casa di riposo – lo facevo di solito a Pasqua -, e poi – mi sono detto – dopo pranzo andrò alla chiesa. Era una chiesa grande, molto grande, con una cripta bellissima. Sono sceso nella cripta e c’era la bara, solo due vecchiette lì che pregavano, ma nessun fiore. Io ho pensato: ma quest’uomo, che ha perdonato i peccati a tutto il clero di Buenos Aires, anche a me, nemmeno un fiore… Sono salito e sono andato in una fioreria – perché a Buenos Aires agli incroci delle vie ci sono le fiorerie, sulle strade, nei posti dove c’è gente – e ho comprato fiori, rose… E sono tornato e ho incominciato a preparare bene la bara, con fiori… E ho guardato il Rosario che avevo in mano… E subito mi è venuto in mente – quel ladro che tutti noi abbiamo dentro, no? -, e mentre sistemavo i fiori ho preso la croce del Rosario, e con un po’ di forza l’ho staccata. E in quel momento l’ho guardato e ho detto: “Dammi la metà della tua misericordia”. Ho sentito una cosa forte che mi ha dato il coraggio di fare questo e di fare questa preghiera! E poi, quella croce l’ho messa qui, in tasca. Le camicie del Papa non hanno tasche, ma io sempre porto qui una busta di stoffa piccola, e da quel giorno fino ad oggi, quella croce è con me. E quando mi viene un cattivo pensiero contro qualche persona, la mano mi viene qui, sempre. E sento la grazia! Sento che mi fa bene. Quanto bene fa l’esempio di un prete misericordioso, di un prete che si avvicina alle ferite…

Ai parroci di Roma, 6 marzo

Siamo invitati ad intraprendere un cammino nel quale, sfidando la routine, ci sforziamo di aprire gli occhi e le orecchie, ma soprattutto aprire il cuore, per andare oltre il nostro “orticello”. Aprirsi a Dio e ai fratelli. Sappiamo che questo mondo sempre più artificiale ci fa vivere in una cultura del “fare”, dell’“utile”, dove senza accorgercene escludiamo Dio dal nostro orizzonte. Ma anche escludiamo l’orizzonte stesso! La Quaresima ci chiama a “riscuoterci”, a ricordarci che noi siamo creature, semplicemente che noi non siamo Dio. Quando io guardo nel piccolo ambiente quotidiano alcune lotte di potere per occupare spazi, io penso: questa gente gioca a Dio Creatore. Ancora non si sono accorti che non sono Dio. E anche verso gli altri rischiamo di chiuderci, di dimenticarli. Ma solo quando le difficoltà e le sofferenze dei nostri fratelli ci interpellano, soltanto allora possiamo iniziare il nostro cammino di conversione verso la Pasqua. E’ un itinerario che comprende la croce e la rinuncia. Il Vangelo di oggi indica gli elementi di questo cammino spirituale: la preghiera, il digiuno e l’elemosina (cfr Mt 6,1-6.16-18). Tutti e tre comportano la necessità di non farsi dominare dalle cose che appaiono: quello che conta non è l’apparenza; il valore della vita non dipende dall’approvazione degli altri o dal successo, ma da quanto abbiamo dentro.

Messa Mercoledì delle Ceneri, 5 marzo

Vivere fino in fondo il Battesimo – ecco il secondo invito – significa anche non abituarci alle situazioni di degrado e di miseria che incontriamo camminando per le strade delle nostre città e dei nostri paesi. C’è il rischio di accettare passivamente certi comportamenti e di non stupirci di fronte alle tristi realtà che ci circondano. Ci abituiamo alla violenza, come se fosse una notizia quotidiana scontata; ci abituiamo a fratelli e sorelle che dormono per strada, che non hanno un tetto per ripararsi. Ci abituiamo ai profughi in cerca di libertà e dignità, che non vengono accolti come si dovrebbe. Ci abituiamo a vivere in una società che pretende di fare a meno di Dio, nella quale i genitori non insegnano più ai figli a pregare né a farsi il segno della croce. Io vi domando: i vostri figli, i vostri bambini sanno farsi il segno della croce? Pensate. I vostri nipoti sanno farsi il segno della croce? Glielo avete insegnato? Pensate e rispondete nel vostro cuore. Sanno pregare il Padre Nostro? Sanno pregare la Madonna con l’Ave Maria? Pensate e rispondetevi. Questa assuefazione a comportamenti non cristiani e di comodo ci narcotizza il cuore!

Udienza Generale il Mercoledì delle Ceneri

I preti – mi permetto la parola – “asettici” quelli “di laboratorio”, tutto pulito, tutto bello, non aiutano la Chiesa. La Chiesa oggi possiamo pensarla come un “ospedale da campo”. Questo scusatemi lo ripeto, perché lo vedo così, lo sento così: un “ospedale da campo”. C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite! C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa… Gente ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite. Quando uno è ferito, ha bisogno subito di questo, non delle analisi, come i valori del colesterolo, della glicemia… Ma c’è la ferita, cura la ferita, e poi vediamo le analisi. Poi si faranno le cure specialistiche, ma prima si devono curare le ferite aperte. E voi, cari confratelli – vi domando – conoscete le ferite dei vostri parrocchiani? Le intuite? Siete vicini a loro? Tu piangi? O abbiamo perso le lacrime? Ricordo che nei Messali antichi, quelli di un altro tempo, c’è una preghiera bellissima per chiedere il dono delle lacrime. Incominciava così, la preghiera: “Signore, Tu che hai dato a Mosè il mandato di colpire la pietra perché venisse l’acqua, colpisci la pietra del mio cuore perché le lacrime…”: era così, più o meno, la preghiera. Era bellissima. Ma, quanti di noi piangiamo davanti alla sofferenza di un bambino, davanti alla distruzione di una famiglia, davanti a tanta gente che non trova il cammino?… Il pianto del prete… Tu piangi? O in questo presbiterio abbiamo perso le lacrime? Piangi per il tuo popolo? Dimmi, tu fai la preghiera di intercessione davanti al Tabernacolo? Tu lotti con il Signore per il tuo popolo, come Abramo ha lottato?

Ai parroci di Roma, 6 marzo

Con i suoi inviti alla conversione, la Quaresima viene provvidenzialmente a risvegliarci, a scuoterci dal torpore, dal rischio di andare avanti per inerzia. L’esortazione che il Signore ci rivolge per mezzo del profeta Gioele è forte e chiara: «Ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Perché dobbiamo ritornare a Dio? Perché qualcosa non va bene in noi, non va bene nella società, nella Chiesa e abbiamo bisogno di cambiare, di dare una svolta. E questo si chiama avere bisogno di convertirci! Ancora una volta la Quaresima viene a rivolgere il suo appello profetico, per ricordarci che è possibile realizzare qualcosa di nuovo in noi stessi e attorno a noi, semplicemente perché Dio è fedele, è sempre fedele, perché non può rinnegare se stesso, continua ad essere ricco di bontà e di misericordia, ed è sempre pronto a perdonare e ricominciare da capo. Con questa fiducia filiale, mettiamoci in cammino!

Messa il Mercoledì delle Ceneri, 5 marzo

Il «fantasma dell’ipocrisia» ci fa dimenticare come si accarezza un malato, un bambino o un anziano. E non ci fa guardare negli occhi la persona a cui diamo frettolosamente l’elemosina ritraendo subito la mano per non sporcarci. È un monito a «non vergognarsi» mai della «carne del fratello» quello rivolto da Papa Francesco durante la messa celebrata nella mattina del 7 marzo nella cappella della Casa Santa Marta.

Nel giorno del venerdì dopo le ceneri la Chiesa, ha spiegato il Pontefice, propone una meditazione sul vero significato del digiuno. E lo fa attraverso due letture incisive, tratte dal libro del profeta Isaia (58, 1-9a) e dal Vangelo di Matteo (9, 14-15). «Dietro le letture di oggi — ha subito affermato il Pontefice — c’è il fantasma dell’ipocrisia, della formalità nel compiere i comandamenti, in questo caso il digiuno». Dunque «Gesù torna sul tema dell’ipocrisia tante volte quando vede che i dottori della legge pensano di essere perfetti: compiono tutto quello che è nei comandamenti come se fosse una formalità».

E qui, ha avvertito il Papa, c’è «un problema di memoria», che riguarda «questa doppia faccia nell’andare sulla strada della vita». Gli ipocriti infatti «hanno dimenticato che loro sono stati eletti da Dio in un popolo, non da soli. Hanno dimenticato la storia del loro popolo, quella storia di salvezza, di elezione, di alleanza, di promessa» che viene direttamente dal Signore.

E così facendo, ha proseguito, «hanno ridotto questa storia a un’etica. La vita religiosa per loro era un’etica». Così «si spiega che al tempo di Gesù, dicono i teologi, c’erano trecento comandamenti più o meno» da osservare. Ma «ricevere dal Signore l’amore di un padre, ricevere dal Signore l’identità di un popolo e poi trasformarla in un’etica» significa «rifiutare quel dono di amore». Del resto, ha precisato, gli ipocriti «sono persone buone, fanno tutto quello che si deve fare, sembrano buone». Ma «sono eticisti, eticisti senza bontà, perché hanno perso il senso di appartenenza a un popolo».

«La salvezza — ha spiegato il Pontefice — il Signore la dà dentro un popolo, nell’appartenenza a un popolo». E «così si capisce come il profeta Isaia ci parla oggi del digiuno, della penitenza: qual è il digiuno che vuole il Signore? Il digiuno che ha un rapporto con il popolo, popolo al quale noi apparteniamo: il nostro popolo, nel quale noi siamo chiamati, nel quale noi siamo inseriti».

Papa Francesco ha riletto, in particolare, questo passo del libro di Isaia: «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?».

Ecco, dunque, il senso del vero «digiuno che — ha ribadito il vescovo di Roma — si preoccupa della vita del fratello, che non si vergogna della carne del fratello, come dice Isaia stesso». Infatti «la nostra perfezione, la nostra santità va avanti con il nostro popolo, nel quale noi siamo eletti e inseriti». E «il nostro atto di santità più grande è proprio nella carne del fratello e nella carne di Gesù Cristo».

Così, ha sottolineato, anche «l’atto di santità di oggi — noi qui nell’altare — non è un digiuno ipocrita. È non vergognarsi delle carne di Cristo che viene oggi qui: è il mistero del corpo e del sangue di Cristo. È andare a dividere il pane con l’affamato, a curare gli ammalati, gli anziani, quelli che non possono darci niente in contraccambio: quello è non vergognarsi della carne».

«La salvezza di Dio — ha ribadito il Pontefice — è in un popolo. Un popolo che va avanti, un popolo di fratelli che non si vergognano uno dell’altro». Ma proprio questo, ha avvertito, «è il digiuno più difficile: il digiuno della bontà. La bontà ci porta a questo». E «forse — ha spiegato citando il Vangelo — il sacerdote che passò vicino a quell’uomo ferito ha pensato» riferendosi ai comandamenti del tempo: «Ma se io tocco quel sangue, quella carne ferita, rimango impuro e non posso celebrare il sabato! E si è vergognato della carne di quell’uomo. Questa è ipocrisia!». Invece, ha fatto notare il Santo Padre, «quel peccatore è passato e lo ha visto: ha visto la carne del suo fratello, la carne di un uomo del suo popolo, figlio di Dio come lui. E non si è vergognato».

«La proposta della Chiesa oggi» suggerisce perciò un vero e proprio esame di coscienza attraverso una serie di domande che il Papa ha posto ai presenti: «Io mi vergogno della carne del mio fratello, della mia sorella? Quando io do elemosina, lascio cadere la moneta senza toccare la mano? E se per caso la tocco, faccio così subito?» ha chiesto mimando il gesto di chi si ripulisce la mano. E ancora: «Quando io do l’elemosina, guardo gli occhi di mio fratello, di mia sorella? Quando io so che una persona è ammalata vado a trovarla? La saluto con tenerezza?».

Per completare questo esame di coscienza, ha precisato il Papa, «c’è un segno che forse ci aiuterà». Si tratta di «una domanda: so accarezzare gli ammalati, gli anziani, i bambini? O ho perso il senso della carezza?». Gli ipocriti, ha proseguito, non sanno più accarezzare, si sono dimenticati come si fa. Ecco allora la raccomandazione di «non vergognarsi della carne del nostro fratello: è la nostra carne». E «saremo giudicati», ha concluso il Pontefice, proprio sul nostro comportamento verso «questo fratello, questa sorella» e non certamente «sul digiuno ipocrita».

Messa Santa Marta, 7 marzo

L’obiettivo del pellegrinaggio è
il rinnovamento
dell’Alleanza d’Amore
nella sua forza plasmatrice e missionaria;
quella che si manifesterà – al di dentro di Schoenstatt
nel rinnovamento della famiglia, e al di fuori,
nella forgiatura di una Cultura d’Alleanza

Documento del Laboro 2014

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