Postato su 2014-02-12 In Francesco - messaggio

Non abbiate paura della fragilità!

org. Tutte le classi della Chiesa, e molte altre al di fuori, credenti o no, hanno ricevuto le sue parole chiare e piene di speranza, al contempo colme di motivazione, per assumere la responsabilità che tutti abbiamo di costruire un mondo secondo il volere di Dio, nella forza dello Spirito e per il sentiero di Cristo. I Cardinali e i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i novizi e i seminaristi, le famiglie, i giovani e gli anziani, le comunità e le istituzioni hanno ricevuto questa proposta di uscire “per la strada”, a portare non una speranza utopica, bensì fatti concreti, progetti evangelizzatori di vita all’uomo, ovunque si trovi, e se è nella “periferia”, lì stesso, con tutti i rischi e i pericoli che porta. Preferisco una Chiesa accidentata, perché esce a servire, che è ammalata per essere chiusa in sé stessa, ci ripete costantemente. Tutto ciò si trova in Schoenstatt.org, dove si custodiscono di settimana in settimana i testi che ci incitano ad andare in pellegrinaggio verso il Giubileo 2014. Indubbiamente essendo noi Chiesa, queste parole sono rivolte a noi. Come sarebbe contento il Padre con questo impulso missionario, che ci è regalato dal cuore stesso della Chiesa (P. José Maria Garcia)

SETTIMANA 7/2014

 

Quando ci inonda l’amore di Dio, la vita acquista un altro sapore.

Nel Vangelo di questa domenica, che viene subito dopo le Beatitudini, Gesù dice ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13.14). Questo ci stupisce un po’, se pensiamo a chi aveva davanti Gesù quando diceva queste parole. Chi erano quei discepoli? Erano pescatori, gente semplice… Ma Gesù li guarda con gli occhi di Dio, e la sua affermazione si capisce proprio come conseguenza delle Beatitudini. Egli vuole dire: se sarete poveri in spirito, se sarete miti, se sarete puri di cuore, se sarete misericordiosi… voi sarete il sale della terra e la luce del mondo!

Angelus, 9 febbraio 2014

Per comprendere meglio queste immagini, teniamo presente che la Legge ebraica prescriveva di mettere un po’ di sale sopra ogni offerta presentata a Dio, come segno di alleanza. La luce, poi, per Israele era il simbolo della rivelazione messianica che trionfa sulle tenebre del paganesimo. I cristiani, nuovo Israele, ricevono dunque una missione nei confronti di tutti gli uomini: con la fede e con la carità possono orientare, consacrare, rendere feconda l’umanità. Tutti noi battezzati siamo discepoli missionari e siamo chiamati a diventare nel mondo un vangelo vivente: con una vita santa daremo “sapore” ai diversi ambienti e li difenderemo dalla corruzione, come fa il sale; e porteremo la luce di Cristo con la testimonianza di una carità genuina. Ma se noi cristiani perdiamo sapore e spegniamo la nostra presenza di sale e di luce, perdiamo l’efficacia.

Angelus, 9 febbraio 2014

Ma che bella è questa missione di dare luce al mondo! E’ una missione che noi abbiamo. E’ bella! E’ anche molto bello conservare la luce che abbiamo ricevuto da Gesù, custodirla, conservarla. Il cristiano dovrebbe essere una persona luminosa, che porta luce, che sempre dà luce! Una luce che non è sua, ma è il regalo di Dio, è il regalo di Gesù. E noi portiamo questa luce. Se il cristiano spegne questa luce, la sua vita non ha senso: è un cristiano di nome soltanto, che non porta la luce, una vita senza senso. Ma io vorrei domandarvi adesso, come volete vivere voi? Come una lampada accesa o come una lampada spenta? Accesa o spenta? Come volete vivere? [la gente risponde: Accesa!] Lampada accesa! E’ proprio Dio che ci dà questa luce e noi la diamo agli altri. Lampada accesa! Questa è la vocazione cristiana.

Angelus, 9 febbraio 2014

Dopodomani, 11 febbraio, celebreremo la memoria della Beata Vergine di Lourdes, e vivremo la Giornata Mondiale del Malato. E’ l’occasione propizia per mettere al centro della comunità le persone malate. Pregare per loro e con loro, stare loro vicini. Il Messaggio per questa Giornata è ispirato ad una espressione di san Giovanni: Fede e carità: «Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16). In particolare, possiamo imitare l’atteggiamento di Gesù verso i malati, malati di ogni genere: il Signore si prende cura di tutti, condivide la loro sofferenza e apre il cuore alla speranza.

Angelus, 9 febbraio 2014

La dignità della persona non si riduce mai alle sue facoltà o capacità, e non viene meno quando la persona stessa è debole, invalida e bisognosa di aiuto. Penso anche alle famiglie, dove è normale prendersi cura di chi è malato; ma a volte le situazioni possono essere più pesanti… Tanti mi scrivono, e oggi vorrei assicurare una preghiera per tutte queste famiglie, e dico loro: non abbiate paura della fragilità! Non abbiate paura della fragilità! Aiutatevi gli uni gli altri con amore, e sentirete la presenza consolante di Dio.

L’atteggiamento generoso e cristiano verso i malati è sale della terra e luce del mondo. La Vergine Maria ci aiuti a praticarlo, e ottenga pace e conforto per tutti i sofferenti.

Angelus, 9 febbraio 2014

Quando noi celebriamo la Messa, noi non facciamo una rappresentazione dell’Ultima Cena: no, non è una rappresentazione. E’ un’altra cosa: è proprio l’Ultima Cena. E’ proprio vivere un’altra volta la Passione e la morte redentrice del Signore. E’ una teofania: il Signore si fa presente sull’altare per essere offerto al Padre per la salvezza del mondo. Noi sentiamo o diciamo: ‘Ma, io non posso, adesso, devo andare a Messa, devo andare a sentire la Messa’. La Messa non si ‘sente’, si partecipa, e si partecipa in questa teofania, in questo mistero della presenza del Signore tra noi”. Il presepe, la Via Crucis, sono rappresentazioni, la Messa invece, è una commemorazione reale ossia è una teofania: Dio si avvicina e sta con noi, e noi partecipiamo al mistero della Redenzione”. Purtroppo tante volte guardiamo l’orologio, “contiamo i minuti”: non è l’atteggiamento che ci chiede la liturgia, la liturgia è tempo di Dio e spazio di Dio, e noi dobbiamo entrare nel tempo di Dio, nello spazio di Dio e non guardare l’orologio.

Santa Marta, 10 febbraio 2014

«Dio piange; Gesù ha pianto per noi». E in quel pianto c’è la rappresentazione del pianto del Padre, «che ci vuole tutti con sé nei momenti difficili». Il Pontefice ha anche ricordato che nella Bibbia ci sono almeno «due momenti brutti in cui il padre risponde» al pianto del figlio. Il primo è l’episodio di Isacco che viene condotto da Abramo sul monte per essere offerto in olocausto: egli si accorge «che portavano il legno e il fuoco, ma non la pecorella per il sacrificio». Perciò «aveva angoscia nel cuore. E cosa dice? “Padre”. E subito la risposta: “Eccomi figlio”». Il secondo è quello di «Gesù nell’Orto degli Ulivi, con quell’angoscia nel cuore: “Padre, se è possibile allontana da me questo calice”. E gli angeli sono venuti a dargli forza. Così è il nostro Dio: è padre».

Padre che aspettava il figlio prodigo, «andatosene con tutti i soldi, con tutta l’eredità. Come sappiamo che lo aspettava?» si è domandato Papa Francesco. Perché — è la riposta che ci danno le scritture — «lo ha visto da lontano. E perché tutti i giorni saliva ad aspettare» che il figlio tornasse. In quel padre misericordioso, infatti, c’è «il nostro Dio», che «è padre». Da qui l’auspicio che la paternità fisica dei padri di famiglia e la paternità spirituale dei consacrati, dei sacerdoti, dei vescovi, siano sempre come quelle dei due protagonisti delle letture: «due uomini, che sono padri».

In conclusione il Pontefice ha invitato a meditare su queste due «icone» — Davide che piange e il capo della sinagoga che si getta davanti a Gesù senza vergogna, senza timore di rendersi ridicolo, perché «in gioco c’erano i loro figli» — e ha chiesto ai fedeli di rinnovare la professione di fede, dicendo «Credo in Dio Padre» e domandando allo Spirito Santo di insegnarci a dire «Abba, Padre». Perché, ha concluso, «è una grazia poter dire a Dio: Padre, con il cuore».

Santa Marta, 4 febbraio 2014

Giovanni, l’uomo che Dio ha inviato per preparare la strada a suo Figlio». Ma «Giovanni finisce male», decapitato per ordine di Erode. Diventa «il prezzo di uno spettacolo per la corte in un banchetto» Quando c’è la corte è possibile fare di tutto: la corruzione, i vizi, i crimini. Le corti favoriscono queste cose». «Cosa ha fatto Giovanni? Prima di tutto annunciò il Signore. Annunciò che era vicino il Salvatore, il Signore; che era vicino il regno di Dio». Un annuncio che egli «ha fatto con forza: battezzava ed esortava tutti a convertirsi». Giovanni «era un uomo forte e annunciava Gesù Cristo. “È che non s’impadronì della sua autorità morale» nonostante gli sia stata offerta «su un vassoio la possibilità di dire: io sono il messia!». Giovanni infatti «aveva tanta autorità morale, tanta! Tutta la gente andava da lui. Il Vangelo dice che gli scribi» si avvicinavano per domandargli: «Cosa dobbiamo fare?». Lo stesso facevano il popolo, i soldati. «Convertitevi!» era la risposta di Giovanni, e «non truffate!» Alla «forza» di Giovanni guardavano anche «i farisei, i dottori», riconoscendo in lui «un uomo retto. Per questo sono andati a domandargli: ma sei tu il messia?». Per Giovanni è stato «il momento della tentazione e della vanità». Avrebbe potuto rispondere: «Ma non posso parlare di questo…», finendo per «lasciare la domanda per aria. O poteva dire: ma non so… con falsa umiltà». Invece Giovanni «è stato chiaro» e ha affermato: «No, io non sono! Dopo di me viene uno che è più forte di me, a cui io non sono degno di piegarmi per sciogliere i legacci dei calzari». Così non è caduto nella tentazione di rubare «il titolo, non si è impadronito del mestiere». Ha detto chiaramente: «Io sono una voce, soltanto quello. La parola viene dopo. Io sono una voce!». E «questa — ha riepilogato il Papa — è la seconda cosa che ha fatto Giovanni: non rubare la dignità». È stato un «uomo di verità».

«La terza cosa che ha fatto Giovanni — ha proseguito il Pontefice — è imitare il Cristo, imitare Gesù. Tanto che, in quei tempi, i farisei e i dottori credevano che lui fosse il messia». Persino «Erode, che lo aveva ucciso, credeva che Gesù fosse Giovanni». Proprio questo mostra fino a che punto il Battista abbia «seguito la strada di Gesù, soprattutto sul cammino dell’abbassarsi».

Infatti «Giovanni si è umiliato, si è abbassato fino alla fine, fino alla morte». Ed è andato incontro allo «stesso stile vergognoso di morte» del Signore: «Gesù come un brigante, come un ladro, come un criminale, sulla croce», e Giovanni vittima di «un uomo debole e lussurioso» che si fa prendere «dall’odio di un’adultera, dal capriccio di una ballerina». Sono due «morti umilianti».

Come Gesù, ha detto ancora il Papa, «anche Giovanni ha avuto il suo orto degli ulivi, la sua angoscia in carcere quando credeva di aver sbagliato». Per questo egli «manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù: dimmi, sei tu o ho sbagliato e c’è un altro?». È l’esperienza del «buio dell’anima», del «buio che purifica». E «Gesù ha risposto a Giovanni come il Padre ha risposto a Gesù: confortandolo».

Proprio parlando del «buio dell’uomo di Dio, della donna di Dio», Papa Francesco ha ricordato la testimonianza «della beata Teresa di Calcutta. La donna che tutto il mondo lodava, il premio Nobel! Ma lei sapeva che in un momento della sua vita, lungo, c’era soltanto il buio dentro». Anche «Giovanni è passato per questo buio», ma è stato «annunciatore di Gesù Cristo; non s’impadronì della profezia» divenendo «imitatore di Gesù Cristo».

Santa Marta, 7 febbraio 2014

In Giovanni c’è dunque «l’icona» e «la vocazione di un discepolo». La «sorgente di questo atteggiamento di discepolo» si riconosce già nell’episodio evangelico della visita di Maria a Elisabetta, allorché «Giovanni ballò di gioia nel grembo» di sua madre. Gesù e Giovanni infatti «erano cugini» e «forse si sono trovati dopo». Ma quel primo «incontro ha riempito di gioia, di tanta gioia il cuore di Giovanni. E lo ha trasformato in discepolo», nell’«uomo che annuncia Gesù Cristo, che non si mette al posto di Gesù Cristo e che segue la strada di Gesù Cristo».

In conclusione Papa Francesco ha suggerito un esame di coscienza «sul nostro discepolato» attraverso alcune domande: «Annunciamo Gesù Cristo? Profittiamo o non profittiamo della nostra condizione di cristiani come se fosse un privilegio?». A questo proposito è importante guardare l’esempio di Giovanni che «non s’impadronì della profezia».

E poi ancora un interrogativo: «Andiamo sulla strada di Gesù Cristo, la strada dell’umiliazione, dell’umiltà, dell’abbassamento per il servizio?».

Per il Pontefice se ci accorgiamo di non essere «fermi in questo», è bene «domandarci: ma quando è stato il mio incontro con Gesù Cristo, quell’incontro che mi riempì di gioia?». È un modo per tornare spiritualmente a quel primo incontro con il Signore, «tornare alla prima Galilea dell’incontro: tutti noi ne abbiamo una!». Il segreto, ha detto il Papa, è proprio «tornare là: rincontrarci con il Signore e andare avanti su questa strada tanto bella, nella quale lui deve crescere e noi venire a meno».

Santa Marta, 7 febbraio 2014

L’obiettivo del pellegrinaggio è
il rinnovamento
dell’Alleanza d’Amore
nella sua forza plasmatrice e missionaria;
quella che si manifesterà – al di dentro di Schoenstatt
nel rinnovamento della famiglia, e al di fuori,
nella forgiatura di una Cultura d’Alleanza

Documento del Laboro 2014

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