Publicado el 2014-04-17 In Riflessioni e opinioni

Tempo per perdonare ed essere perdonato

P. Carlos Padilla. P. Carlos Padilla offre di nuovo un ritiro di Quaresima a tutti i lettori di schoenstatt.org. La prima conferenza del ritiro di Quaresima, intorno a perdonare ed essere perdonato, è disponibile ed è scritta ed in audio. “Come perdonava Maria le offese? Come ha perdonato Cristo coloro che lo uccidevano e lo guardavano ai piedi della croce? Il perdono ê generoso, libero, ingrandisce colui che lo dà e sana colui che lo riceve.”

Spesso ci conviene soffermarci a guardare la nostra vita con un po’ di prospettiva. Ci aiuta, perciò, tanto a fermarci e a fare silenzio anche che sia solamente per un fine settimana. Quest’anno guardiamo il deserto che rappresenta la Quaresima. Un deserto in cui Dio si avvicina ed aspetta l’uomo. Tacere , attendere, cercare, sperare. Il deserto ti spaventa. Abbandonare le cose che ci legano. Da poco tempo ho saputo della malattia chiamata “nomofobia”. L’assuefazione al telefono cellulare è per tanti la malattia del secolo XXI. La paura di restare senza telefono, secondo gli esperti, si può definire già come un’ossessione per una gran parte della popolazione, senza che chi ne subisce le conseguenze se ne renda conto. Chi è capace di lasciare il cellulare a casa e non avere un desiderio irresistibile di ritornare indietro a prenderlo? Chi è rimasto senza batteria e non ha avuto la sensazione di sentirsi isolato? Chi è uscito senza telefono e non ha avuto il sospetto che precisamente in quelle ore riceverà una chiamata importante che non potrà ascoltare? Chi è uscito dal cinema o dal teatro in qualche occasione ed è riuscito a giungere fino alla porta della strada senza controllare le sue chiamate o messaggi perduti? Sì, nonostante ci costi riconoscerlo quella del cellulare è una specie di ossessione. Le reti sociali, i messaggi, le chiamate. Non sopportiamo vivere senza comunicarci. È vero che non tutti siamo ossessionati, forse sarebbe meglio non controllare, ma potremmo vivere con più libertà. Dipendiamo dal cellulare, ci rende schiavi e non potremmo uscire per la strada senza. L’altro giorno c’era un annuncio in un ristorante: “Qui non c’è wifí. Parlate tra voi.” Mi impressiona vedere persone sedute a tavola e ciascuna scrivendo messaggi nel cellulare. È la comunicazione che ci allontana dalla realtà presente. Non sopportiamo senza comunicarci con altri, ma poi abbiamo molte difficoltà per comunicarci con le persone che ci stanno difronte, per conversare di temi profondi, per aprire il cuore e raccontare di noi.

Oggi la parola rete è una parola molto usata. Siamo in rete, in relazione gli uni con gli altri di forma virtuale. Il numero di utenti di Internet è quasi di 2 milioni, il che suppone il 30% della popolazione mondiale. Nell’anno 2015 ci saranno quasi 3 milioni di naviganti, più del 40% della popolazione mondiale. Sono sempre di più quelli che partecipano alle reti sociali e si comunicano attraverso di esse con centinaia di persone. Pubblichiamo notizie, carichiamo fotografie, facciamo commenti, denudiamo la nostra intimità. Pubblichiamo la nostra vita senza pudore e  perdiamo il senso dell’autentica privacy. Entriamo in relazione ed opiniamo intorno a quello che gli altri scrivono “Mi piace” o “non mi piace” E crediamo che i vincoli diventino così più profondi. Ma si tratta di una rete virtuale, in cui tutti partecipiamo e stringiamo relazioni senza entrare in profondità. È una rete fragile, debole, esposta.

Abbiamo molti amici virtuali, ma poco profondi. È questa rete una rete forte, ferma? È la rete che vogliamo creare? Al parlare della rete quest’anno giubilare la vogliamo regalare a Maria: ma usiamo quest’immagine come un ideale. Pensiamo ad una rete fatta con corda, forte resistente all’uso. Una rete che ci conservi uniti e possa essere usata da Dio a suo piacere. È la rete che gettavano gli apostoli dalla barca agli ordini di Gesù.  Perché loro confidavano nella sua Parola. E quella rete forte e dura si è riempita di pesci. E non si è rotta, nonostante fossero troppi i pesci e l’hanno dovuta tirare sulla barca in tanti. Quando pensiamo alla rete pensiamo alla comunione, all’unità: quella cui siamo chiamati noi cristiani. Ricorriamo ad un termine molto nostro: vogliamo essere una famiglia unita. P. Kentenich diceva: “Era previsto nei disegni di Dio che voi ed io ci appartenessimo con una profondità singolare. Nei piani di Dio non debbo mai essere esistito senza di voi, né voi senza di me. Dio ha pensato dall’eternità in un’Alleanza d’Amore. Se Dio lo ha pensato così, se non mi ha visto mai senza di voi, né voi senza di me, se Egli non vuole che io compia la mia missione senza di voi, come ha visto Maria senza Gesù, se Egli ha pensato a voi da tutta l’eternità, come miei collaboratori permanenti compiendo la mia missione, allora comprenderete quanto grato sono a voi che avete accettato questi piani”(1)

Siamo uniti tra noi come Famiglia e con P. Kentenich. Come Cristo e Maria sulla Croce dell’Unità. Maria ai piedi della Croce. Un’unità che si alimenta dell’amore, nell’Alleanza d’Amore con Maria. Ella è Colei che ci unisce, Colei che ci mantiene uniti, quella che non permette che si rompano le corde della rete, Colei che ottiene che ci apriamo e ci sforziamo per amore.

Formare una rete non significa essere un gruppo di persone che si conserva unita semplicemente come pecore massificate. Non si tratta di un’unità di convenienza. No, la rete si costruisce da una decisione libera ed autentica. Ci uniamo per amore, per amare di più, per sforzarci di più. Non per interesse. P. Kentenich diceva: “Con uomini massificati non so fare niente. Solo so fare qualcosa con personalità autonome. Motivate da se stesse. Con uomini che hanno un giudizio proprio e che lo sanno conservare.”(2). La decisione per formare parte di una rete, è una decisione matura e libera, una decisione libera ed autentica. È la stessa decisione che prendiamo quando optiamo per seguire Cristo nella sua Chiesa. P. Kentenich parla dell’uomo con vincoli, dell’uomo radicato profondamente nel mondo di Dio e nel mondo degli uomini: “L’uomo nuovo è la personalità autonoma, colma di spirito, veloce e contenta di decidersi, responsabile ed interiormente libera, lontana tanto da una rigida schiavitù alle formalità, quanto da un’arbitrarietà senza limiti”(3). La rete che ci unisce come Chiesa, come Famiglia di Schoenstatt, si compone di molti pezzi di corda uniti. Ci uniamo gli uni con gli altri e, attraverso quei vincoli umani, ci uniamo con il mondo soprannaturale. È quella comunità di apostoli cui Cristo ha chiamato per condividere la vita. Egli è il vero sostenitore dell’unità. Maria è Colei che ci unisce come rete di fratelli, come Famiglia che aspira alla santità. Dio usa la nostra libertà per formare una rete di vincoli, Perché, come diceva Francesco de Sales: “Dio non vuole nella sua barca galeotti, bensì rematori liberi”. La barca di Gesù rispetta la libertà di tutti coloro che accettano di navigare con Lui. Ed Egli naviga allora con noi, al nostro fianco e getta la rete, affinché ci sia molta vita, molta fecondità che non si deve alla nostra capacità, bensì al suo potere. Perché soltanto siamo un pezzo di corda unito ad altri pezzi di corda formando una rete immensa. Cristo annoda i pezzi di corda sciolti. Ci restaura e ci unisce agli altri. Noi riusciamo a correggere gli altri, quando abbiamo saputo correggerci. La rete non ha fessure sempre e quando predomina il perdono. Sì il perdono ricevuto ed il perdono dato. Che difficile è unire! Che facile è dividere! Il perdono sana ed unisce. P. Kentenich dice: “Qual è l’essenza della comunità? Questa consiste in essere spiritualmente l’uno nell’altro, con l’altro e per l’atro”(4). Una rete di vincoli sani e profondi. Un amore nobile che libera.  Se viviamo gli uni negli altri, radicati ed ancorati, la rete sarà una rete sicura, una rete per Dio, per la missione, segno della presenza di Cristo. Al parlare della rete ci domandiamo come stanno i nostri vincoli. Il Tempo di Quaresima è un tempo per domandarci per la qualità e il calore delle nostre relazioni. Sappiamo ciò che preoccupa in questo momento al mio coniuge, ai nostri figli, ai nostri genitori, ai nostri fratelli ed amici? Conosciamo le loro paure e i loro desideri, i loro sogni e le loro sfide? Conviviamo con molte persone e spesso ignoriamo quello che è vivo nei loro cuori. Non ci domandiamo, perché non abbiamo tempo. E i vincoli, quando si trascurano, quando non diventano profondi, si vanno seccano lentamente.

Questa rete che vogliamo formare diventa forte a partire dal perdono, dalla misericordia. Il perdono di  Dio ci salva, ci eleva, ci redime. Noi abbiamo bisogno di sperimentare continuamente la misericordia di Dio. Magari l’abbiamo sperimentata nella Confessione. È una grazia che ci dà la possibilità di ritornare a cominciare. Come diceva Papa Francesco: La confessione non è una sessione di tortura, né una lavanderia, Gesù nel confessionario non è un prodotto di pulizia a secco. La possibilità di vergognarsi è una vera virtù cristiana, ed incluso umana. Benedetta vergogna. Così è come arriviamo ad essere coscienti del male realizzato. E se domani faccio lo stesso? Confessarsi di nuovo. Egli sempre ci aspetta. Il confessionario è un luogo dove Dio ci invita a sperimentare la sua tenerezza.” La Quaresima e la Settimana Santa sono una opportunità per cambiare la vita, per chiedere perdono e ricominciare un cammino di santità da cui ci eravamo allontanati a causa del peccato, a cedere alla tentazione, a lasciarci sedurre per quello che ci attrae tanto. Siamo in un tempo speciale di conversione, in cui riceviamo la misericordia di Dio nella nostra vita sempre e quando siamo capaci di umiliarci con semplicità, con tranquillità, con vergogna, con molta pace davanti a Dio, perché Egli sempre ci perdona. Vogliamo chiedere a Dio che purifichi il nostro cuore. Che ci tolga il rancore, l’odio, l’invidia, la pigrizia, il disprezzo, la bugia, il desiderio di vendetta, la superbia e l’orgoglio. Abbiamo dentro di noi sentimenti che non sono di Cristo, non sono molto puri. Sentimenti che ci allontanano da Dio. Vogliamo che Cristo prenda forma in noi. Vogliamo avere i suoi sentimenti. Che cosa farebbero Cristo o Maria in questo caso? È la domanda che ci dovremmo fare ogni giorno, in ogni momento. Non lo facciamo e perciò il peccato ci allontana da Dio ed indebolisce i nostri vincoli. Ma purtroppo non possiamo non peccare. La nostra debolezza è molto reale, e dobbiamo accettarla. Veramente pecchiamo anche quando non facciamo niente, quando scartiamo l’amore, quando non sappiamo comunicare gioia e speranza, quando si chiudiamo in noi stessi e non ci apriamo alla misericordia. Quanti sono i nostri peccati di omissione!

Quando Gesù ci perdona per mezzo della confessione non ci chiede spiegazioni, non cerca che cambiamo immediatamente di vita.

Semplicemente ci domanda: “Mi vuoi bene?” Ci sono domande che non si dimenticano. Pietro ha custodito quella domanda impressa nel suo cuore per sempre. Pietro ha tradito Cristo quando più Egli lo necessitava, nell’oscurità di quella notte. Gesù avrebbe desiderato il suo sguardo, la sua fedeltà, o semplicemente la sua preghiera sofferente per avere più forze. Avrebbe voluto vederlo al fianco di sua Madre, cercando risposte ed un po’ di speranza. Non sappiamo bene che cosa Gesù aspettava quella notte. Forse è così il vero amore, non aspettava niente e lo aspettava tutto. Ma la sua tristezza non era colma di tristezza. Semplicemente rifletteva un desiderio incompiuto, un sogno rotto in mezzo alle grida. Colui che lo amava tanto ed era disposto a dare la vita per Lui, rimaneva con paura nascosto nel buio della notte, negando di conoscere il Nazzareno. Che duro! Che incomprensibile! Gesù avrà pianto come Pietro. Chi avrà sofferto di più a quell’incrociarsi di sguardi? Gesù gli domandava con il suo sguardo se gli voleva bene e lo sosteneva con tenerezza nella sua vergogna per essere caduto. Pietro è fuggito nascondendosi tra le ombre, e ha pianto amaramente. Gesù non voleva rimproverargli nulla, solo voleva sapere se gli voleva bene.  E voleva che Pietro sapesse che Egli sì lo amava Non è stato possibile un nuovo incontro quella notte. Sicuro che Pietro non era ancora preparato. Hanno dovuto aspettare ambedue ed alla fine si sono visti. Nel proprio focolare comune, dove non c’era necessità di nascondersi. Lì Pietro era Pietro e non temeva la morte.  E ha potuto riprendere il dialogo interrotto per il canto di un gallo. Gesù domanda tre volte a Pietro: “Mi vuoi bene?” E alla fine Pedro risponde con forza: “Signore, Tu lo sai tutto, Tu sai che ti voglio bene”. Chiaro che Gesù lo sapeva. Conosceva il suo cuore di bambino. Quella notte aveva negato per paura, non voleva morire. Adesso afferma sicuro quanto già non teme confessare. La sua fede è cresciuta. Già non teme. Sa che può morire come il Maestro. Perché è preparato, ma ha fiducia nella luce e nella vita. Crede e ama. Senza paura, senza nascondere niente. Gesù ci chiede lo stesso ogni volta che ci confessiamo, e chiediamo perdono. Non vogliamo che restiamo ancorati e confusi nei nostri sentimenti di colpa. Non vuole che stiamo guardando ogni momento il danno causato, sentendo la colpa e il dolore, criticando senza misericordia quello che abbiamo fatto. No, Gesù ci domanda con tanto affetto: “Mi vuoi bene?” Che cosa possiamo rispondere a questa domanda? Che sì. Gli vogliamo bene, che daremmo la vita per Lui, che senza di Lui al nostro fianco la vita non avrebbe significato, e se Lui non colma il “vuoto”, nulla potrebbe farlo. Sì, questo è il cammino e perciò ci rallegriamo sempre di nuovo all’ascoltare la sua voce: “Mi vuoi bene?”

E, perciò, tanto necessario imparare a chiedere perdono. Quando è stata l’ultima volta che abbiamo preparato bene una confessione? Sempre ci manca il tempo. Quante persone ci dicono all’inizio della confessione: “Purtroppo, non ho avuto tempo di preparare una buona confessione!” Sì, è molto comune. Vogliamo confessarci. Spesso soltanto pulirci per poi ricominciare. Ci pesa l’anima e la sua pelle si è indurita. Tanto che è diventata oscura e secca. In quei momenti comprendiamo che abbiamo bisogno di confessarci. Ma è anche vero altre volte ci pare di non avere fatto nulla di male. Che siamo generosi e buoni e non commettiamo nessuno dei grandi peccati segnalati dalla Chiesa. Il confessore ha bisogno di materia per potere assolvere e la materia sono i grandi peccati. Ma spesso è incredibile, si deve fare acrobazie per trovare qualche peccato: “Quello no, quello nemmeno, no quello no, non lo faccio”. E non c’è materia, mancano i peccati. Pare che solo ci siano opere buone. Vi sono peccati che non conosciamo, ci sono sentimenti che quasi non percepiamo o ci siamo abituati ad essi. Ci abituiamo a fare certe cose e diventano parte della nostra ruotina, non diamo loro importanza. Non facciamo silenzio sufficiente per riflettere sulla nostra vita, sul nostro peccato abituale. E così apparentemente non sappiamo dove migliorare. Ci inganniamo, siamo degli scansafatiche, escludiamo, facciamo favoritismi, non prestiamo attenzione, dimentichiamo, non ascoltiamo, neghiamo, offendiamo senza saperlo, disprezziamo senza renderci conto. Sicuramente siamo nemici di qualcuno e non lo sappiamo. Ci sarà una ferita con il nostro nome in qualche cuore, ma pensiamo che non è nostra. Può essere che sì lo sappiamo. Lo facciamo, feriamo, sbagliamo e poi lo dimentichiamo. Spesso feriamo senza renderci conto. Pecchiamo con le nostre parole, gesti o omissioni. Perché anche quando non offriamo amore feriamo.

Quanto ci costa chiedere perdono! È di nuovo l’orgoglio, l’amor proprio? Il desiderio di farlo tutto bene e non sbagliare mai?

Dobbiamo imparare a chiedere perdono a Dio, ma anche è fondamentale agli uomini. Ci costa molto chiedere perdono per le cose che facciamo male. Può essere che agiamo sempre così e ci abituiamo. Facciamo le cose male e poi ci giustifichiamo. Diamo la colpa alle circostanze, agli altri, al mondo. Cerchiamo altri colpevoli, che ci liberino dalla colpa. Facciamo la faccia degli innocenti. Si finisce facendo quello che si vede. Vediamo in tutte le parti l’atteggiamento di lanciare la pietra e nascondere la mano; nello sport, nella politica, nel mondo del lavoro. Finiamo col fare quello che vediamo. Agiamo e facciamo la faccia degli innocenti. Ma la verità è che facciamo danno. Non importa che altri anche lo facciano. Che lo meritino, o che abbiamo ragione. Non importa. Il male non si giustifica mai. La Chiesa nell’anno 2000con la persona di Giovanni Paolo II, ha guardato la storia, una storia di santi e peccatori, ed ha chiesto perdono pubblicamente. Poi Benedetto XVI ha chiesto perdono per i casi di pederastia. Sono gesti di umiltà, sinceri e di pentimento, È certo che i santi anche sono peccatori, perciò non siamo esenti di aspirare al più alto. Quando guardiamo la storia della Chiesa vediamo peccati e ferite e ci sentiamo responsabili di tanto dolore causato. La Chiesa tanto umana tanto di Dio, non ha un passato immacolato, ha peccato e continua peccando nel presente. Al guardare la nostra storia personale in Schoenstatt, nella Chiesa, vediamo il nostro peccato. Schoenstatt anche ha peccato. Anche in Schoenstatt ci sono santi e peccatori. Ci sono cose in questi cento anni che non si sono fatte bene sicuramente. Siamo umani e commettiamo errori e quasi senza renderci conto terminiamo lasciando cicatrici in qualche anima. In qualche momento abbiamo parlato male degli altri. Abbiamo pensato o criticato nel nostro cuore ad una persona, ad una comunità, a chi è differente. Le nostre critiche sono come un pugnale che attraversa una vita. Crediamo che soltanto noi facciamo le cose bene e ci è facile giudicare gli altri dal nostro trono. Le nostre critiche feriscono, anche se non sono pubbliche, nonostante altri non le conoscano. Non importa. È come quel veleno che avanza lentamente e ferisce in silenzio. Giudichiamo nell’inutile ansia di sentirci migliori, più capaci. Squalifichiamo gli altri per giustificare le nostre azioni ed atteggiamenti. Per invidia e gelosia critichiamo l’immagine di altre persone, come volendo rivendicare il nostro valore. Ci sentiamo superiori e non prendiamo in considerazione certe persone, non le accogliamo. Magari gareggiamo per il potere, per un luogo, per un posto, per l’affetto di altre persone. Ci piace avere influenza e potere. Sapere è potere. Opinare e decidere. Magari abbiamo anche evitato qualcuno ferendolo con la nostra indifferenza. E forse non abbiamo avuto il coraggio di iniziare un nuovo incontro con quella persona ferita dalle nostre parole. Abbiamo lasciato passare il tempo pensando che così tutto si sarebbe aggiustato solo senza fare nulla. Non aiutiamo ed abbandoniamo feriti sul ciglio del cammino. Proseguiamo, senza soccorrerli.

Perché ci costa tanto chiedere perdono? Forse non siamo consapevoli di quello che facciamo. Lo facciamo e già basta non diamo importanza. Poi non diamo valore al danno, alla ferita, al dolore causato e proseguiamo il nostro cammino. Incoscienza? Immaturità? Egoismo? Indifferenza? Non importano le cause. L’importante è guardare il cammino che abbiamo davanti a noi. Guardare ed avere fiducia. Sì, di questo si tratta. Vogliamo imparare a chiedere perdono per iniziare   una nuova storia, un nuovo cammino. Chiediamo perdono a tutti coloro che abbiamo ferito. Chiedere perdono ci fa vulnerabili davanti agli uomini. Ci apre alla misericordia degli altri. Ci espone al rifiuto o alla accettazione. Sana colui che chiede perdono e chi perdona. Ma quanto ci costa! Sentiamo che perdiamo qualcosa, che lasciamo di avere influenza. Ci resulta duro riconoscere la nostra responsabilità e la nostra parte di colpa. Abbiamo paura del rifiuto, di mostrarci fragili. Anzi, è tutto il contrario. Chiedere perdono ci fa crescere come persona, ci fa più grandi, più coraggiosi. Dovremmo pensare: A chi e per che cosa dovrei chiedergli perdono? Certo che so di alcuni, cui non sono simpatico, che evitano la mia compagnia, che si allontanano quando arrivo. Magari viviamo con persone alle quali non chiediamo perdono e sono ferite. Ci costa chiedere perdono al nostro coniuge. A volte lo facciamo solo per risolvere un problema. Che sano imparare a chiedere perdono!  Nonostante sia umiliante. In quel gesto di generosità e bontà cresceremo, semineremo semi per l’eternità. Al chiedere perdono possiamo, inoltre, avere la grazia di essere perdonati. Il perdono ci fa molto bene, ci purifica, ci dà dignità. Siamo perdonati e possiamo ritornare a cominciare. Riceviamo il perdono e Dio nel cielo fa festa. Ascoltiamo dall’alto: “Tu sei mio figlio amato, prediletto.” Quando impariamo a chiedere perdono agli uomini ci sarà più facile chiedere perdono a Dio. Oggi costa la confessione, perché l’uomo si è abituato a non chiedere perdono alle sue relazioni, a non riconoscere l’errore, la colpa. Perciò è tanto sano chiedere perdono a Dio per i nostri atteggiamenti e omissioni. Perché ci fa bene chiedere perdono e ricevere quell’abbraccio di Dio nell’anima.

Ma è necessario al contempo purificare la nostra memoria, i ricordi dell’anima

Spesso guardiamo la nostra storia e pensiamo che non abbiamo nulla contro nessuno, che siamo in pace con tutti. Sicuramente durante la nostra vita siamo stati offesi e feriti. La nostra memoria è danneggiata. È sufficiente scavare un poco nel passato, ed appaiano molte ferite e rancori. Facciamo silenzio e non domandiamo: Chi mi ha offeso qualche volta? Chi ha parlato male di me? Chi mi ha evitato e si è allontanato da me? A chi conserviamo rancore nell’anima?  Chi ci ha offeso con parole o gesti? Chi non ci ha ringraziato di ciò che abbiamo fatto? La nostra memoria custodisce nel cuore tutto quello che è successo. Lo custodisce impresso a ferro e fuoco. Perciò, quando appena appare nel nostro cuore quanto giace nel nostro profondo, ritorna la frustrazione, il dolore, l’offesa, come se stesse per accadere in quel momento. Sì, abbiamo nemici ed hanno volto. Magari loro ignorano la loro condizione. Forse non sanno che ci hanno fatto danno e pensano che lo abbiamo dimenticato e perdonato. Ma la verità è che ci duole l’anima al sentirci feriti, e al sapere che altri sono stati feriti dalle nostre parole ed azioni. Vogliamo chiedere a Dio e a Maria che questo tempo sia un tempo in cui consegniamo la nostra storia, i nostri dolori, le nostre piccole amarezze, le nostre ferite, e chiediamo loro che ci purifichino il cuore. Soltanto loro possono sanare le nostre ferite e donarci la pace.  Noi non siamo capaci.

Dio ci insegna a perdonare, ma non è tanto facile. Perché il cuore imprime con fuoco sulla pelle dell’anima. Pare che la ferita non si cancella, non scompare il sangue, il dolore continua. Non è tanto semplice. L’anima è ferita dalle offese e dal disprezzo. Come si imprime nel più profondo dell’anima! Che difficile è perdonare e dimenticare! Com’è questo cuore che ama tanto e soffre tanto! È l’orgoglio che ci impedisce voltare la pagina? È il timore di ricevere una nuova ferita che non ci lascia dimenticare del tutto per proteggerci e fermarci sulla difesa. Abbiamo bisogno di perdonare per percorrere di nuovo i cammini già percorsi. È la sfida d’imparare a

perdonare ed essere misericordiosi. Ma spesso non siamo capaci di perdonare e di dimenticare. Se non lo facciamo, non potremo mai arrivare a muoverci con libertà. È un mistero. Un gesto di perdono da parte nostra ci apre il cuore di chi è stato perdonato. Abbiamo paura del dolore. Penseremo alla ferita e ci spaventerà che si riapra. Ma come si perdona? È un grazia che dobbiamo chiedere, perché non sappiamo come farlo. Papa Francesco diceva: “Il cristiano è chiamato in ogni ambiente a portare l’annuncio liberatore che esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamente, sempre, e che siamo fatti per la comunione e per la vita eterna. Il Signore c’invita ad annunciare con gioia questo messaggio di misericordia e di speranza” È prezioso sperimentare la gioia di propagare questa buona nuova, di condividere il tesoro che ci ha affidato, per consolare i cuori afflitti e dare speranza a tanti fratelli e sorelle immersi nel vuoto”. Perdonare per avere fiducia di nuovo, come dice P. Kentenich: “Conservare la fede nel lato buono dell’essere umano. Nonostante le delusioni sofferte, nonostante gli errori, nonostante le dure lotte. Che non ci sia nulla che indebolisca la fede nel lato buono dell’essere umano. Sappiamo per esperienza che quando qualcuno dice o fa intendere: Non credo più in te. Tutto in lui si blocca”. E vero che il perdono di Dio ci sana, ci eleva, ci libera. Dio perdona sempre e dimentica, crede in noi, nella bontà de nostro cuore e non si lascia confondere dal nostro peccato. È un mistero un dono, una grazia che riceviamo in ginocchio. La Sua misericordia ci deve aiutare ad essere misericordiosi con coloro che ci offendono.

Ma quanto ci costa perdonare! Custodiamo le offese. Diciamo che perdoniamo e subito lo rinfacciamo e non dimentichiamo. La ferita continua sanguinando e non siamo capaci di perdonare e dimenticare come fa Dio. Egli sì che ci perdona e non conta il male, non serba rancore, non lo alimenta, semplicemente lo dimentica. Sa che siamo molto più che valorosi della offesa che commettiamo. Siamo i suoi figli.

Fatti a sua immagine e somiglianza. Dio ci perdona, affinché noi impariamo a perdonare con un cuore gioioso. Spesso al perdonare desideriamo che colui che ci offende faccia qualcosa di più, restituisca, sani, curi la ferita causata. Vogliamo gesti che restituiscano la giustizia e la pace. Vogliamo che ci dia qualchecosa in cambio del nostro perdono, e di dimenticare. Perciò quando questi gesti non avvengono, non perdoniamo, perché non ci pare giusto, perché ci sentiamo di nuovo offesi. Altre volte vogliamo semplicemente che chi ci ha offeso cambi, migliori, non ritorni a commettere lo stesso peccato. Vogliamo che non lo rifaccia mai più, che cambi di atteggiamento per sempre. Vogliamo la conversione immediata, senza dilazione. L’offesa ha minato la nostra fiducia e vogliamo che i suoi atteggiamenti sanino la nostra fiducia perduta. Ma il perdono non si può dare in forma incondizionata. Aiuta a sanare le ferite il fatto di chiedere per colui che ci ha offeso e tentare metterci al suo posto. O perdoniamo o non perdoniamo, ma non possiamo perdonare con condizioni. Quando ci chiedono il perdono, dobbiamo essere generosi ed aiutare, affinché l’altro non rimanga male. Dobbiamo manifestarlo facile, non infierire, essere accoglienti. Colui che chiede il perdono è in inferiorità. Inoltre quella cicatrice che ha lasciato l’offesa nel cuore, quando ci chiedono perdono a volte si cancella, ma spesso no. Resta e forma parte della nostra vita. Il nostro cuore sarà un cuore con cicatrici, un cuore che ha amato e ha sofferto. Vogliamo abituarci a mostrarla a Dio come espressione della nostra fragilità. Infine vogliamo imparare a perdonare come perdona Dio. Y non è che Gesù ha chiesto al ladrone il pentimento delle sue malefatte. Al contempo il Padre della parabola del figlio prodigo non gli chiede che si penta e cambi d’idea di fare una festa per il suo ritorno. Così è Dio. Così siamo chiamati ad essere. Nonostante a noi sembri impossibile. Inoltre ingiusto. Ma come perdonava Maria le offese? Come ha perdonato coloro che lo uccidevano e lo guardavano ai piedi della croce? Il perdono è generoso, libera, ingrandisce colui che lo dà e sana chi lo riceve.

(1)  P. G. Kentenich “Nueva Helvetia” 20/8/1947

(2)  P. G. Kentenich  “Terziario del Brasile”, 1952

(3)  P. G. Kentenich  “La mia filosofia dell’educazione

(4)  P. G. Kentenich  “ Settimana di Ottobre del 1950

Originale: spagnolo. Traduzione: Maria Tedeschi, La Plata, Argentina

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