Postato su 2019-08-26 In Riflessioni e opinioni

100 anni di Hoerde

Omelia della Messa Pontificale del 18.08.2019 a Schoenstatt, S. Ecc. Mons. Michael Gerber, Vescovo di Fulda •

“Viviamo in tempi difficili e spesso le persone non possono rimanere forti in questo processo di purificazione. Inciampano in accuse contro Dio e contro il bene, perdono la fede nel bene e negli esseri umani”[1].—

 

Cari fratelli e sorelle!

Questa citazione sembra derivare da uno dei recenti commenti sugli eventi attuali. “Viviamo in tempi difficili…..”. Pensiamo alle attuali tensioni globali, alla scadenza del trattato di disarmo dell’INF tra Stati Uniti e Russia, al conflitto nello Stretto di Hormuz, ai flussi mondiali di rifugiati, alle ardenti guerre civili in Medio Oriente, in Africa o in Venezuela. Allo stesso tempo, ci ricorda la crisi di credibilità della nostra Chiesa e delle sue cause. Ci ricorda i conflitti all’interno della Chiesa che, di conseguenza, sorgono tra i vari membri.

“Viviamo in tempi difficili…..”. Tuttavia, la citazione di cui sopra ha quasi 100 anni. Viene da una lettera di Alois Zeppenfeld, scritta nell’aprile 1920. La lettera è stata scritta a partire dall’impressione della conferenza di Hoerde, che egli stesso aveva organizzato solo pochi mesi prima. Leggiamo cosa scrive Zeppenfeld:

“La nostra Federazione non conosce pessimismo! Al radicalismo del male contrappone un radicalismo del bene e crede che il bene prevalga, sì, deve prevalere. Solo un sano ottimismo aiuta le persone e il mondo; il pessimismo non edifica mai, spesso butta giù tutto!”

Lo scrittore di queste righe, in quel momento, aveva vissuto diversi anni di guerra, con esperienze traumatiche.

Ma sia Alois Zeppenfeld che i suoi contemporanei devono aver vissuto, nei mesi immediatamente successivi alla guerra, anche il presente come molto caotico: il crollo della monarchia in Germania e l’arduo cammino verso una nuova costituzione democratica; una situazione precaria di approvvigionamento di benidi prima necessità e un continuo indebolimento della nazione stessa a causa della perdita di ampie aree, nonché dei risarcimenti economici da effettuare. La situazione era a rischio. Guardando indietro, sappiamo che questo fu uno dei motivi dell’emergere e del rafforzamento del nazionalsocialismo.

Cari fratelli e sorelle,

Teniamo presente lo stato d’animo della società di allora e, in questo contesto, leggiamo lo spirito di ottimismo dei federati della prima ora. Se vogliamo vivere la nostra missione oggi nel contesto delle domande di oggi, per fedeltà all’origine, non è necessario, prima di tutto, rinnovare e approfondire questo stato d’animo fondamentale delle federazioni della prima ora?

“La nostra Federazione non conosce pessimismo! Al radicalismo del male si oppone un radicalismo del bene e crede che il bene prevalga, sì, deve prevalere. Solo un sano ottimismo aiuta le persone e il mondo; il pessimismo non edifica mai, spesso butta giù tutto!

Non è semplicemente una citazione di giovani idealisti. No, è scritto da un giovane studente che, insieme al nostro padre e fondatore e ad altri co-fondatori, avrebbe trovato negli anni a venire un movimento ecclesiale completamente nuovo per quel tempo. Sarebbe stato un movimento, da un lato, fruttuoso per la Chiesa e la società e, dall’altro, molto resistente alle condizioni dei tempi sfavorevoli, come il nazionalsocialismo.

Cosa caratterizza l’inizio 100 anni fa? Vorrei sottolineare alcuni elementi, senza pretendere che siano gli unici. Si tratta di elementi che, a mio avviso, oggi possono mostrare una prospettiva in vista di questioni urgenti e di attualità.

Un primo elemento: nostro padre e i suoi co-fondatori erano convinti che dietro quello che era successo il 18 ottobre 1914 e negli anni successivi, vi era un’iniziativa divina. Da allora questo ha plasmato in modo decisivo la mentalità della nostra Famiglia di Schoenstatt: siamo convinti dell’azione di Dio nel passato e nel presente. Senza questa convinzione, Hoerde non sarebbe stato possibile, e senza questa convinzione, la storia concreta di Hoerde, la genesi della federazione apostolica e del movimento apostolico non sarebbe stata possibile.

Tuttavia, alla luce delle tendenze attuali, anche all’interno della Chiesa, la convinzione di una “iniziativa divina” non è affatto evidente. In molti ambienti ecclesiali, troviamo qualcosa come il “deismo ecclesiale”. È un ragionamento che parte dal fatto che Dio, in Gesù Cristo, ha portato un impulso essenziale a questo mondo, ma insiste sul fatto che oggi non possiamo più parlare dell’opera di Dio. Troppe cose vanno male in questo mondo per credere in un Dio amorevole e operante. Piuttosto, siamo obbligati a trarre conclusioni per le nostre azioni di oggi, a partire dall’impulso di Gesù di quel tempo.

Ma da una parte, completamente diversa, c’è anche la questione di un discorso acritico dell’opera di Dio oggi, di un’iniziativa divina. Lo sperimentiamo, ad esempio, nel contesto della preparazione del Sinodo per l’Amazzonia. Rinomati esperti mettono in discussione critica l'”Instrumentum Laboris” in preparazione di questo Sinodo. Secondo i critici, le nuove fonti della Rivelazione vengono forse improvvisamente definite sulla base di una valutazione teologica delle tradizioni indigene, in contrapposizione alla storia della salvezza in Gesù Cristo, come testimoniano le Scritture e la tradizione? Ciò avviene in un modo che contraddice la comprensione ecclesiale della Rivelazione?[2] Queste domande devono essere prese sul serio. Come si può pensare oggi all’azione possibile di Dio in relazione all’evento della salvezza, dell’incarnazione, morte e risurrezione di Gesù Cristo? Notiamo che non possiamo parlare acriticamente di “iniziativa divina”. Né in Amazzonia né a Schoenstatt può esserci una sorta di “Rivelazione parallela o particolare”. Quando parliamo di “iniziativa divina”, questa non può essere intesa come “parallela” a quanto testimoniano la Scrittura e la tradizione.

 

 

Cari fratelli e sorelle,

non si tratta di una inezia o di sottigliezze teologiche. Se la convinzione dell’ “iniziativa divina” ha plasmato la mentalità del nostro movimento per più di 100 anni, allora Schoenstatt – almeno le federazioni e gli istituti – deve essere in grado di mantenere un dialogo con le tendenze del nostro tempo e, quindi, anche di fondare il nostro pensiero teologico.

Mi vengono in mente due indicazioni del nostro fondatore che, da un lato, sono totalmente in linea con la dottrina della Chiesa e, dall’altro, esprimono il suo pensiero originale:

Una prima indicazione: quando Dio prende l’iniziativa qui ed ora, non accade niente di “diverso” o “aggiuntivo” a ciò che la Scrittura e la tradizione testimoniano. Piuttosto, ciò che è accaduto in Gesù Cristo e ciò che la Bibbia testimonia diventa presente in modo nuovo. Il nostro fondatore si riferisce a questo più e più volte. Lo esprime in modo molto marcato nell’Ufficio del “Verso il Cielo”.

Ecco un modo di interpretare la drammatica situazione che la Chiesa sta attraversando oggi. Ciò che sperimentiamo oggi è interpretabile anche come un assaggio di ciò che i discepoli, Maria e le altre donne, hanno vissuto nei giorni prima e dopo la Pasqua? Ecco il tradimento e l’abuso flagrante della propria missione da parte di rinomati rappresentanti della Chiesa, ai quali è stata affidata la cura delle anime. Il risultato è un allontanamento e una rapida perdita di valore. Per molti è sempre meno possibile trovare il “segno della salvezza” in quella comunità attribuita a Gesù. Della comunità vivente della Domenica delle Palme, nel giro di pochi giorni non sembra che sia rimasto nulla. Fu così solo allora o lo è anche ora?

Credo che il nostro padre e fondatore oggi ci guiderebbe a interpretare la situazione attuale della nostra Chiesa come un assaggio del momento drammatico della Pasqua. Questo può anche aiutare a superare il fatalismo e il pessimismo e a raggiungere quello stato d’animo fondamentale che ha inondato le nostre federazioni 100 anni fa. Non sappiamo con quale drammaticità continuerà il cammino della Chiesa dei nostri giorni. Ma è proprio qui che possiamo sperimentare una profonda comunione con Maria e con i discepoli in quelle ore pasquali. Questo significa anche l’Alleanza d’Amore, un’Alleanza che trascende il tempo.

Una seconda indicazione: secondo la dottrina della Chiesa, intendiamo la Rivelazione come un processo dialogico tra la Rivelazione di Dio e l’accettazione dell’uomo. Ma è lo stesso Spirito Santo che apre il cuore e la mente dell’uomo per questa accoglienza[4].  Durante tutta la sua vita, una delle domande essenziali del nostro Fondatore è stata: come aprire il cuore e l’anima nelle profondità più profonde attraverso l’opera di Dio? Chiedendo di più: Come posso diventare attento a dove lo Spirito Santo apre l’anima di una persona? In questo modo, però, la nostra visione delle espressioni spirituali dell’essere umano, e di ciò che si manifesta nelle espressioni spirituali di una cultura, assume un nuovo significato e, nel senso più vero della parola, un significato logico. Ci chiediamo: come si può manifestare in un tale contesto l’azione dello Spirito Santo, che apre le anime al messaggio del Vangelo?

 

Cari fratelli e sorelle!

Con Hoerde, il nostro movimento si è concepito come un “movimento apostolico”. Cosa significa apostolato oggi, in una società postmoderna e pluralistica? Nel senso di San Paolo, questo può significare intercedere per la Parola di Dio e la verità di Gesù Cristo,  in modo opportuno ma anche in modo inappropriato[5].

Ma questa è solo la metà del cammino apostolico di Paolo e di nostro padre. D’altra parte, San Paolo e il nostro fondatore ci insegnano ad essere attenti a dove lo Spirito Santo apre una porta.  Per nostro padre, si tratta soprattutto di quando lo Spirito Santo apre una porta nella parte più profonda dell’anima di una persona. Dovremmo, quindi, mettere in discussione criticamente i nostri modelli di reazione, i nostri meccanismi di difesa in relazione ai diversi fenomeni ed espressioni della vita nella società di oggi?

 

Cari fratelli e sorelle,

“movimento apostolico” significa: qui ed ora, in questo mondo postmoderno e dalle molteplici scelte, conquistare le persone per un legame vitale con Gesù Cristo e per il Vangelo. Questo non può mai significare cercare solo persone che, in qualche modo, mostrano ancora un atteggiamento da “buon cattolico”. No; se crediamo in una continua iniziativa divina, allora dobbiamo aspettare che lo Spirito Santo apra il suo messaggio alle anime di persone molto diverse, specialmente a quelle di coloro dalle quali, secondo il loro stile di vita, meno ci aspettiamo.

Cosa significa quindi un atteggiamento apostolico? Ci chiediamo: dov’è, qui e ora, l’accesso all’anima di una persona in cui qualcosa può cominciare a muoversi? Come e dove trattiamo questo responsabilmente, essendo persone dalla mentalità apostolica?

Durante il suo soggiorno a Milwaukee, P. Kentenich lo ha formulato con parole molto chiare:

 

“Se sono un giardiniere-educatore (possiamo dire: se sono apostolicamente attivo; MG), allora devo dare alla pianta ciò di cui ha bisogno. Se sono un pasticcione, allora getterò del fertilizzante sulla pianta. (…..) Si potrebbe dire che, poiché oggi non abbiamo più una mentalità cattolica, tutti i colpi che gettiamo vanno nel vuoto. (…..) La domanda iniziale era: dove sono gli istinti originali più elementari dell’anima? Se non catturiamo le forze originali, allora colpiamo solo qualcosa. Gli istinti originali sono vivi, ma non sono sviluppati.

 

In altre parole: Se l’uomo di oggi, cresciuto in un mondo pluralistico, non comprende l’attualità della Buona Novella e il modo in cui la Chiesa risponde alle domande più profonde della sua anima, allora tutto ciò che il cristianesimo può offrire come via e verità gli rimane molto estraneo.

I cinque anni tra il 18 ottobre 1914 e Hoerde furono segnati essenzialmente dal fatto che il profondo desiderio dei congreganti aveva trovato un’eco in quello che avevano vissuto come schoenstattiani in una lotta comune. Per questo Schoenstatt è cresciuto prima e dopo Hoerde. Questo si esprime molto chiaramente, ad esempio, nel discorso di Albert Eise, allora ancora molto giovane, in una riunione commemorativa del 21 aprile 1919, nel periodo immediatamente precedente a Hoerde[8].

Secondo Kentenich, l’esistenza apostolica oggi significa, da una parte, essere nella verità di ciò che la Scrittura e la tradizione ci rivelano; e, dall’altra, una profonda comprensione dei movimenti del cuore del prossimo, che incontriamo nel supermercato, davanti all’ingresso dell’asilo, nella coda del panettiere, al lavoro, sul treno, nella casa vicina, ma anche in molti incisivi commenti sui social o addirittura nelle politiche ecclesiali. Chiediamoci criticamente: come ho reagito – in Germania – all’iniziativa “Maria 2.0” o come ho reagito – in Cile – alla “Lettera della Gioventù cilena al Movimento di Schoenstatt in Cile”? C’è stata una reazione difensiva immediata? Quando faccio domande più profonde, che tipo di voci dell’anima si muovono in questa iniziativa? Quali esperienze potrebbero essere alla base di questa iniziativa? Cosa vuole dire lo Spirito di Dio a me e a noi? Ciò non significa, in alcun modo, che devo concordare con le posizioni che vi sono rappresentate. Ma la domanda: “Quali movimenti di cuore ci sono dietro questo” mi apre a un primo approccio e all’opportunità di entrare davvero in un dialogo costruttivo. Sono grato di aver avuto, ad esempio,  alcune conversazioni in questo senso con i rappresentanti di “Maria 2.0” nella diocesi di Fulda.

 

Un ultimo pensiero per oggi: che cosa significa tutto ciò strutturalmente per il cammino della Chiesa nel suo insieme? In particolare: come deve essere la leadership nella Chiesa di oggi, affinché questa tensione tra la conservazione della fede tradizionale da un lato, l’apertura ai movimenti del cuore delle persone dall’altro e la connessione tra le due cose possano avere successo?

Credo che le nostre federazioni e istituti, nella forma in cui è strutturata la loro leadership, abbiano un significativo elemento profetico e allo stesso tempo critico per contribuire alla nostra attuale discussione ecclesiale. Oggi discutiamo molto nella Chiesa su come dovrebbe essere la leadership, specialmente su chi può e non può guidare, e in che misura. Abbiamo discusso le condizioni per l’ingresso al sacerdozio.

A mio parere, non si tratta solo della domanda che si pone spesso oggi, su chi può guidare, dove e come, ma essenzialmente della domanda fondamentale: come deve essere una leadership? Credo che le nostre federazioni e istituti di Schoenstatt hanno la loro risposta: Esiste – classicamente come in tutte le comunità ecclesiastiche riconosciute – il superiore, la superiora. Tuttavia, dai loro statuti, in molte questioni sono chiaramente legati a un consiglio. In modo particolare, i superiori rappresentano l’unità e l’identità della comunità – un compito tipico della leadership. Essi garantiscono l’unità generale della comunità con la verità e la missione della Chiesa e l’identità specifica della missione della comunità stessa.

Al loro fianco c’è anche un sacerdote come assistente o direttore spirituale. Ad eccezione delle comunità dei Padri di Schoenstatt e dell’Istituto dei Sacerdoti Diocesani, questa è una persona in più, oltre al superiore. Questo sacerdote si impegna – non esclusivamente, ma con una responsabilità particolare – nella realtà sacramentale della Chiesa e delle comunità particolari. Ciò si sviluppa preferibilmente nell’amministrazione dei sacramenti, specialmente nell’Eucaristia e nella Riconciliazione, così come nell’annuncio della Parola. Ogni comunità dovrebbe vedere la sua vita come un regalo originale dell’evento-Cristo. Anche questo è un servizio specifico e indispensabile per la comunità: condurre alla sua origine, che nessuna comunità può darsi da sola, che è Gesù Cristo, il Signore.

Inoltre – e questo si è sviluppato a Schoenstatt molti decenni fa come una novità per la Chiesa – ci sono persone nelle federazioni e istituti che sono responsabili della vita spirituale della comunità e delle correnti di vita. Nelle federazioni, è la posizione del dirigente generale dei corsi o della madre generale dei corsi. Nelle federazioni ci sono persone, o nella Federazione delle famiglie una coppia, che sono responsabili dei dirigenti dei corsi. Hanno la responsabilità di essere attenti alla vita spirituale, alle correnti di vita. Sono attenti ad accogliere queste correnti nella struttura della comunità, ad esempio, nella ricerca del motto dell’anno.

Identità, realtà sacramentale, sensibilità alla vita spirituale: queste sono tre dimensioni della leadership. Nelle federazioni e negli istituti, esse sono incarnate nell’insieme dei diversi dirigenti. Ora ci chiediamo: le discussioni in corso sulla gerarchia ecclesiastica e sulle condizioni di ammissione sono anche esse un’indicazione per continuare a riflettere sulla leadership nel senso di quanto si è vissuto a Schoenstatt? La nostra Chiesa ha bisogno anche di forme complementari di leadership, così come le sperimentiamo nelle nostre comunità? Queste sono domande che sono aperte  a me come vescovo in questo momento, ma che dovremmo affrontare insieme.

Si potrebbe obiettare: questo modello di leadership è fecondo solo nelle federazioni e negli istituti di Schoenstatt, perché c’è uno sforzo comune per quello che chiamiamo “coltivare lo spirito”. In altri settori della Chiesa, questo non può essere presupposto.

Ma, cari fratelli e sorelle delle federazioni e degli istituti, cosa significa questo? La preoccupazione di assicurare che questa coltivazione dello spirito avrebbe avuto successo nelle diverse aree della Chiesa era proprio il programma dei sodali di Hoerde. Come hanno detto nel loro memorandum: “Non si tratta, in primo luogo, di una nuova associazione, di una nuova organizzazione, ma piuttosto di adattarsi saggiamente alla rete di organizzazioni esistenti, di infondere l’anima apostolica nelle comunità esistenti, di sostenerle[9]. Il fatto che abbiamo sperimentato, allora e ora, i limiti del nostro potere non deve spaventarci. Come il nostro padre e fondatore, noi crediamo nel “creatore risultante”, nell’iniziativa di Dio. C’è molto da fare. Avventuriamoci in quello che Dio vuole fare con noi. [10]

1] Lettera di Alois Zeppenfeld, aprile 1920, citata nella rivista MTA del 15.5.1920.
2] Cfr. le critiche di Gerhard Ludwig Müller in Die Tagespost del 16 luglio 2019, p. 9f. Il titolo dell’articolo “Dio non è semplicemente ovunque” sottolinea in modo esagerato l’affermazione di Müller: “Dio non è semplicemente presente allo stesso modo ovunque e in tutte le religioni, secondo cui l’incarnazione è solo un fenomeno tipico del Mediterraneo.
3] Cfr. ad esempio J. Kentenich: Discorso all’Istituto Secolare dei Sacerdoti Diocesani, 22 aprile 1968 (in: Propheta locutus est XVI, 237): “A quel tempo avevamo coniato la frase: nuova iniziativa divina. Chiunque abbia familiarizzato con le idee di Giovanni XXIII, che ha familiarizzato con le intenzioni della Divina Provvidenza con il Concilio Vaticano II, sa quanto sia forte il desiderio della Chiesa di una ripetizione della situazione della Cena del Signore, una ripetizione della venuta dello Spirito Santo”.
Vaticano II: Costituzione dogmatica Dei Verbum sulla Divina Rivelazione, n. 5″. Quando Dio rivela, “l’obbedienza della fede” (Rm 16,26; Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6) deve essere data a lui, per mezzo della quale l’uomo si affida liberamente e totalmente a Dio, rendendo “a Dio rivelatore l’omaggio della comprensione e della volontà” e accettando volontariamente la rivelazione da lui fatta. Per professare questa fede è necessario avere la grazia di Dio, che viene e aiuta, l’aiuto interiore dello Spirito Santo, che muove il cuore e lo converte in Dio, apre gli occhi della mente e dona “tutta la dolcezza nell’accettare e credere la verità”. E perché l’intelligenza della rivelazione sia più profonda, lo stesso Spirito Santo perfeziona costantemente la fede attraverso i suoi doni.
5] Cfr. 2 Tim 4:2.
6] Cfr. Atti 14, 27 et al.
7] Kentenich, Schöpferische Resultate, Vatertexte aus Milwaukee S. 279f.
8] Cfr. Rivista MTA del 15.05.1919, p. 41.
9] Citazione da Friedrich Ernst: Die Bedeutung der Hörder Tagung 1919 für die Apostolische Bewegung von Schönstatt. Paderborn 1959, S. 37.
10] Cfr. Atti 14, 27.

 

Originale: Tedesco. Traduzione: Pamela Fabiano, Roma, Italia @schoenstatt.org

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