Postato su 2010-06-11 In Riflessioni e opinioni

Una passione di tutta la vita

Amelia Peirone. Era un bambino malato, e a scuola aveva un certificato medico che gli impediva di fare ginnastica. Ma era solo un bambino, vedeva i compagni correre, giocare, contendersi la palla. Non poteva correre con gli altri, ma cercava di partecipare in qualche modo alla passione che aveva per quello sport.

 

 

 

Un suo compagno di scuola per tanti anni ricordava: “Io non l’ho mai sentito raccontare le sue sofferenze, né i dolori sopportati, in conseguenza alle sue operazioni. Mai, mai, nulla….Quando è entrato a scuola, gia aveva una cicatrice in testa e come un bozzo sulla nuca, gli avevano fatto un’operazione al cervello e in quella zona non crescevano peli. Per prevenzione ha avuto un certificato per tutti i dieci anni di scuola che non poteva fare ginnastica. Era malaticcio, ma non si notava: era sempre in classe, non mancava mai. Nella nostra classe tutti noi eravamo amanti dello sport. Incredibilmente nella sua predilezione per il club dell’Università del Cile, lui era quasi l’unico, perché la metà della scuola era tifosa dell’Unione Spagnola, un 30% della Cattolica e un 20% di Colo-Colo. E perfino usava l’insegna del suo club!”.

Nel football lo sceglievano per essere arbitro

Tutti hanno accettato in silenzio; era un beneficio enorme per gli uni ed una gioia immensa per gli altri.

“Nel football lo sceglievamo sempre per essere arbitro. Tutti erano del parere che era un arbitro giusto. Era un organizzatore nato; lo aveva dimostrato nei campionati di football che organizzava e nell’Azione Cattolica. Era una personalità ‘senza malizia’.”

Un giorno il ragazzo debole si è laureato con lode. E ha lavorato servendo il paese in ampi progetti di sviluppo economico. Doveva studiare in nuovi investimenti. E lo faceva con passione, profondamente senza preoccuparsi di quanti sforzi richiedeva quest’impresa. Sempre trovava alcuni minuti per controllare la sua vita interiore. E sempre diceva la verità, nonostante non gli piacesse rendersi conto di quanto scopriva. “Nei due viaggi consecutivi per lavoro, ho un po’ esagerato per l’eccessivo sforzo di percorrere continuamente chilometri in automobile, per la vita nomade, che facevamo, e le attività collettive: ho giocato molto a ping pong, a football, cantavamo e suonavamo la chitarra, abbiamo fatto passeggiate ecc. Poi all’essere in campagna, al lato di una cappella preziosa, che era a nostra disposizione, avrei potuto approfittarne di più, ma ciononostante non ho ascoltato, purtroppo, lo stimolo per un’intensa vita interiore”.

Lui controllava il suo rendimento non per constatare il miglioramento, bensì per essere più fedele a chi lo faceva elevare a più alte mete vitali. Il buon allenamento consisteva in cercare di migliorare in generosità. Una e un’altra volta….non si stancava di tentarlo.

“Ieri e l’altro ieri, sebbene avessi molto da fare, mi sono lasciato trascinare dall’entusiasmo per il football da tavola ed ho perduto abbastanza tempo, inoltre mi sono stancato ed eccitato molto per l’emozione del gioco, perciò mi è costato parecchio lavorare e pregare”. “Ieri nuovamente, per la terza volta mi sono lasciato trascinare dall’entusiasmo – passione, più esattamente? – per il nostro gioco di football… ho pregato il rosario e non la Via Crucis, come se non avessi avuto tempo…ma avevo giocato più di ¾ d’ora…..devo considerare la mia giornata con più serietà”.

Un santo della vita quotidiana

Lavorava moltissimo con i giovani nell’università. Non dava importanza alla sua malattia dell’infanzia, nonostante la riapparizione di quell’infermità con tanta forza, lo consumava a vista d’occhio. Lui donava la sua vita alla Gioventù Maschile di Schoenstatt che assisteva spiritualmente, agli alunni che chiedevano il suo aiuto, a cercare sempre vie aperte al dialogo, a nutrire con più speranza gli ideali cresciuti con lui. Non si lamentava mai, né protestava, era tanto infiammato dalla passione di dedicarsi quotidianamente, che era sempre presente e pronto. “Il lavoro mi ha assorbito quest’anno come mai prima, soprattutto nelle classi per il 1º anno d’ingegneria”. E al contempo cercava di mantenersi sempre informato di tutto. Vi do un esempio: Nel mondiale del 1962, con sede in Cile, scrive una lettera ad un amico sacerdote, rubando tempo al sonno, e perfino lo informa di vicissitudini del football, senza naturalmente tralasciare notizie della sua situazione religiosa.

“Ultime notizie, quando siamo usciti dalla benedizione nel Santuario, si udivano petardi! E le radio dei dintorni trasmettevano la canzone nazionale cantata ad alta voce dai fanatici tifosi: !CILE, 2 – RUSSIA, 1!. Ma se continuassi a raccontarti, non potrei rispondere nemmeno brevemente alle tante domande della tua ultima lettera, e il tempo mi vola…”. Ciononostante, quest’ingegnere aveva trovato una strategia infallibile per non errare la gran meta di “essere santo come il Padre dei cieli è santo: essere “santo della vita quotidiana”.. Aveva incontrato la sua equipe trinitaria, uniti Cristo, Maria e lui avrebbero convertito la sua vita intera in un trionfo di Dio nel mondo. Tutto, perciò, lo condivideva con la Madonna, cui chiamava nel suo diario “Mammina”: “Ci dimostri il tuo amore, Mammina, vestendoci con la veste di Cristo e ci profumi con i suoi meriti, ci adorni con le sue grazie. Ti anticipi a tutti nostri bisogni e problemi, dandoci anzitutto la tua assistenza… In verità chi può misurare la grandezza del tuo amore e ringraziarti? Solo c’è un modo: amandoti ancora più teneramente e come figlio, seguendo in tutto il tuo consiglio, lasciandoci guidare nella vita quotidiana dalle tue ispirazioni, appoggiandoci alle tue braccia materne e dimostrandoti il nostro amore”.

Stiamo parlando di Mario Hiriart

Mario Hiriart con el Padre Kentenich en MilwaukeeFin dall’inizio, siamo stati parlando del Servo di Dio Mario Hiriart Pulido. Lo stesso che quando vinceva la sua squadra, arrivava a scuola contento, e stringeva la mano con un gesto di condoglianze a chi aveva perso, o gentilmente accettava la stretta di mano che i rivali gli tendevano, con gioiosa ironia, quando la sua squadra perdeva, Questo arbitro giusto nell’infanzia, appassionato, quando partecipava al gioco, oggi eleva la migliore giustizia, la più preziosa passione: la sua incrollabile carità, e il suo enorme spirito di servizio, affinché sia una bandiera, che tutti possono vedere e seguire negli stadi del mondo. La passione grande al principio per un gioco sportivo, si è poi aperto verso la sua meta definitiva in Dio. Non ha mai lasciato di amare l’umano e quanto di bellezza ludica lì vi trovava. Tutto lo ha regalato a Dio, insieme con la sua vita. Ora la sua causa di canonizzazione corre veloce verso lo stadio più gigantesco che ci sia, lo stadio dei santi in Cielo.

Traduzione: Maria Tedeschi, La Plata, Argentina


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