Postato su 2017-09-18 In S18 Testimonianze, Sinodo 18

Ragazzi! Papa Francesco vuole sentire la vostra voce – Ifeanyi Paulinus Ekpunobi, Nigeria

VERSO IL SINODO DELLA GIOVENTU’: “Ragazzi! Papa Francesco vuole sentire la vostra voce” •

Mai avrei immaginato che la vita in seminario potrebbe essere piena di tante esperienze e impressioni impreviste. Ho sempre ammirato i seminaristi – quelli che venivano nella nostra parrocchia per il lavoro apostolico, i pochi che tornavano ogni anno per la festa di Natale e anche quelli che venivano alla nostra scuola per i ritiri. Erano persone perfette – o almeno così pensavo – dedite al vangelo di Gesù con la ferma decisione di vivere casti in una società totalmente non casta. Avevo sempre desiderato essere come loro. Mi sono  sempre immaginato a mio agio in una sottana bianca, a studiare, a insegnare ai parrocchiani guadagnando l’affetto  che proviene da quella  posizione privilegiata.

La realtà si è mostrata

Quando finalmente ho ottenuto l’ammissione al seminario, le mie idee sul tipico seminarista cattolico cominciarono a sgretolarsi, o, meglio, cominciarono a mutare. Ho cominciato a diventare consapevole della mia motivazione iniziale per diventare prete. Ho cominciato a conoscere le limitazioni del seminario nella formazione. Ho cominciato a vedere  seminaristi che non rientravano nella mia immagine perfetta che avevo di loro. Ho visto sacerdoti che maledicevano le persone. Seminaristi che discutevano di ragazze con tanta passione che quasi mi scandalizzavano. A dirla tutta, mi scandalizzavo per ogni cosa! Ho smesso di pregare come d’abitudine. Ho smesso anche di partecipare alle messe con lo zelo ardente che avevo sempre avuto. Ho iniziato a fare pisolini pomeridiani; qualcosa che non avevo mai fatto a casa. Stavo diventando pigro. Stavo diventando come un robot – sempre disponibile per attività alle quali poi non partecipavo. Avevo quasi perso anche la fonte del mio fondamento spirituale – il Rosario. Mi ritrovavo anche  di fronte al gigantesco compito di passare gli esami, con qualsiasi mezzo. Allo stesso modo, mi scontravo con le sfide della formazione: apparire malleabile davanti ai miei formatori o ricevere la comunione anche quando sapevo che non ero in stato di grazia. Nuotavo, involontariamente, assorbito del tutto nella corrente della vita del seminario.

Eppure, questa era solo la fase iniziale. L’avevo abbracciata con tanta passione e ingenuità che mi stavo distruggendo  molto da solo. A ben guardare, ora capisco perché dovevo prendere la siesta, perché non avrei dovuto sempre essere nella mia stanza a pregare, perché avrei dovuto parlare e socializzare con i miei fratelli. Capisco che i miei responsabili, anche se incapaci di vedere attraverso le mie emozioni, sono sempre la voce di Dio che cercavo in maniera persistente nella preghiera. Quello che avevo visto come scandali era diventato per me un modo passivo che Dio mi aveva voluto offrire per insegnarmi la diversità e gli orientamenti dell’umanità. Dato che avevo sempre conosciuto sacerdoti in sottana, dovevo ripensare alla nozione di sacerdozio. Anche la mia iniziale intenzione e motivazioni diminuirono drasticamente perché stavo capendo  che il sacerdozio non è tutto gloria che maschera le sofferenze di fondo. Forse non riuscivo a sbirciare attraverso la vita impenetrabile dei sacerdoti, ma avevo almeno l’opportunità di ascoltare la loro opinione su di essa. Mi fa sempre male, ma mi rende più forte in un modo che non avrei potuto essere senza questa esperienza. Ho iniziato a ripensare, guardando indietro, e a ricostruire i fondamenti sui quali avevo posato le mie motivazioni.

Tuttavia, la vita del seminario può anche essere noiosa e talvolta soffocante. Per via dei rumorosi  stili di vita dei nostri coetanei che siamo costretti  a vedere su Facebook, Instagram… Colpiscono le nostre emozioni più nascoste. Ci fanno pensare il contrario di quello che viviamo. Devo dire, però, che questi amici mi hanno aiutato a capire in qualche misura quello che sto scegliendo. Il dono di me stesso al servizio del popolo di Dio sarebbe insignificante e inutile se non capisco cosa faccio o cosa sto dando.

Ricordando chi sono

C’è un’altra cosa: il prestigio. Essere un seminarista in Nigeria o in una parte della Nigeria è sempre un biglietto vincente per ottenere rispetto e ammirazione. Le persone vogliono avere contatto con i leader religiosi e con aspiranti apparentemente riusciti. E anche io voglio sentirmi accettato; voglio sentirmi amato e rispettato. Penso che abbia a che fare con il nostro desiderio più intimo di essere felici. Ma ho notato che, in mezzo a tutte questi concetti astratti, stavo perdendo rapidamente qualcosa di mio: la mia personalità. Devo essere me stesso, sapere che sono ancora Ifeanyi prima di diventare seminarista e che potrei anche dare rispetto e amore. Voglio credere che sono in grado di amare, che il mio essere seminarista non mi rende immune da tutti i vizi e le virtù dell’umanità. Voglio avere il coraggio di andare in confessione, capire che il peccato non mi rende inadatto, ma che giustifica la mia fragilità come umana e la dipendenza dalla provvidenza di Dio. Voglio conoscere e esprimere la mia sessualità nel modo perfetto in cui Gesù l’ha pensata sulla Terra – per parlare con le donne con la chiarezza dell’intenzione e con libertà.

Ognuno ha un suo problema; i seminaristi pure. E non ci sarebbe alcuna soluzione se le persone non uscissero dal loro guscio per chiedere aiuto. Ma come potrebbe avvenire ciò quando la maggior parte dei preti nelle case di formazione sembra essere sotto una punizione del Vescovo o del Superiore? Camminano con le loro facce affannate piene di frustrazioni, respirando le minacce di espulsione ad ogni errore che commettono. Ecco, in questo potrei anche aver esagerato un po’,  ma vi è un fono di verità in quanto scrivo. Sono consapevole del fatto che il seminario da ai seminaristi  privilegi immeritati, ma ciò non giustifica il fatto che i seminaristi debbano avere vite pretenziose solo per mantenere e salvaguardare la loro vocazione.

Costruire una comunità di fratelli

Sogno un seminario che possa chiamare famiglia, che, anche se un giorno mi venisse chiesto di lasciarlo, vorrei ricordare per la formazione, l’amore e la vita che ho condiviso con una grande varietà di uomini veri e onesti.  Non dico che non esista, ma so che molti dei miei compagni non possono sognare un tale seminario. Il sogno che ho è che ogni seminario sia come la casa di formazione di Schoenstatt qui in Nigeria. Tuttavia, questo è un desiderio che è quasi impossibile considerando i diversi orientamenti dei formatori. Ma so che se dovessi  lasciare Schoenstatt oggi stesso, mi sentirei molto simile a uno che è stato strappato dalla propria famiglia. Questo è ciò che credo che la formazione dovrebbe essere – costruire una comunità di fratelli.

Sto camminando nel percorso del seminario, ma non sono arrivato così lontano da poter comprendere ogni momento della mia esperienza. Tuttavia, ringrazio Dio per le sue grazie elargite finora. Per avermi messo sul sentiero in cui sono adesso, non solo come seminarista, ma anche come seminarista di Schoenstatt.

Dio benedica i miei formatori del seminario! Dio benedica la Famiglia Schoenstatt.

Originale: inglese. Traduzione di Pamela Fabiano, Roma, Italia

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