org. Come “prima pagina della settimana” pubblichiamo di lunedì in lunedì alcune frasi di Papa Francesco per ogni passo quotidiano del nostro pellegrinaggio. Così ci incoraggiamo a convertirci sempre più in pellegrini missionari, solidali, poveri, contenti, aperti e umili, chiedendo, affinché la Chiesa ci rinnovi nello spirito autentico dell’Alleanza. Senza umiltà non c’è servizio efficiente, né rinnovamento interiore ed autentico. Papa Francesco ci parla della grazia 2014. Chiediamo questa Grazia.
SETTIMANA 32/2013
Il “cambiamento delle strutture” (da caduche a nuove) non è frutto di uno studio sull’organizzazione dell’impianto funzionale ecclesiastico, da cui risulterebbe una riorganizzazione statica, bensì è conseguenza della dinamica della missione. Ciò che fa cadere le strutture caduche, ciò che porta a cambiare i cuori dei cristiani, è precisamente la missionarietà.
Il discepolo di Cristo non è una persona isolata in una spiritualità intimista, ma una persona in comunità per darsi agli altri. Missione Continentale implica pertanto appartenenza ecclesiale. Un’impostazione come questa, che comincia con il discepolato missionario e implica il comprendere l’identità del cristiano come appartenenza ecclesiale, richiede che ci esplicitiamo quali sono le sfide vigenti della missionarietà del discepolato. Ne evidenzierò solamente due: il rinnovamento interno della Chiesa e il dialogo con il mondo attuale.
Aparecida ha proposto come necessaria la Conversione Pastorale. Questa conversione implica credere nella Buona Novella, credere in Gesù Cristo portatore del Regno di Dio, nella sua irruzione nel mondo, nella sua presenza vittoriosa sul male, credere nell’assistenza e guida dello Spirito Santo, credere nella Chiesa, Corpo di Cristo e prolungatrice del dinamismo dell’Incarnazione. Facciamo in modo che il nostro lavoro e quello dei nostri Presbiteri sia più pastorale che amministrativo? Chi è il principale beneficiario del lavoro ecclesiale, la Chiesa come organizzazione o il Popolo di Dio nella sua totalità?
E’ bene ricordare le parole del Concilio Vaticano II: le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini del nostro tempo, soprattutto dei poveri e di quanti soffrono, sono a loro volta gioie e speranze, tristezze e angosce dei discepoli di Cristo (cfr Cost. Gaudium et spes, 1). Qui risiede il fondamento del dialogo col mondo attuale. La risposta alle domande esistenziali dell’uomo di oggi, specialmente delle nuove generazioni, prestando attenzione al loro linguaggio, comporta un cambiamento fecondo che bisogna percorrere con l’aiuto del Vangelo, del Magistero e della Dottrina Sociale della Chiesa. Gli scenari e aeropaghi sono i più svariati. Per esempio, in una stessa città, esistono vari immaginari collettivi che configurano “diverse città”. Se noi rimaniamo solamente nei parametri de “la cultura di sempre”, in fondo una cultura di base rurale, il risultato finirà con l’annullare la forza dello Spirito Santo. Dio sta in tutte le parti: bisogna saperlo scoprire per poterlo annunciare nell’idioma di ogni cultura; e ogni realtà, ogni lingua, ha un ritmo diverso.
Tutta la proiezione utopica (verso il futuro) o restaurazionista (verso il passato) non è dello spirito buono. Dio è reale e si manifesta nell’“oggi”. Verso il passato, la sua presenza si dà a noi come “memoria” della grande opera della salvezza sia nel suo popolo sia in ognuno di noi; verso il futuro si dà a noi come “promessa” e speranza. Nel passato Dio è stato presente e lasciò la sua orma: la memoria ci aiuta ad incontrarlo; Nel futuro è solo promessa… e non è nei mille e uno “futuribili”. L’“oggi” è il più simile all’eternità; ancora di più: l’“oggi” è scintilla di eternità. Nell’“oggi” si gioca la vita eterna.
Il discepolato missionario è vocazione: chiamata e invito. Si dà in un “oggi” però “in tensione”. Non esiste il discepolato missionario statico. Il discepolo missionario non può possedere se stesso, la sua immanenza è in tensione verso la trascendenza del discepolato e verso la trascendenza della missione. Non ammette l’autoreferenzialità: o si riferisce a Gesù Cristo o si riferisce al popolo a cui si deve annunciare. Soggetto che si trascende. Soggetto proiettato verso l’incontro: l’incontro con il Maestro (che ci unge discepoli) e l’incontro con gli uomini che aspettano l’annuncio.
La posizione del discepolo missionario non è una posizione di centro bensì di periferie: vive in tensione verso le periferie… incluse quelle dell’eternità nell’incontro con Gesù Cristo. Nell’annuncio evangelico, parlare di “periferie esistenziali” decentra e abitualmente abbiamo paura di uscire dal centro. Il discepolo missionario è un “decentrato”: il centro è Gesù Cristo, che convoca e invia. Il discepolo è inviato alle periferie esistenziali.
Ad Aparecida si danno in maniera rilevante due categorie pastorali che sorgono dalla stessa originalità del Vangelo e possono anche servirci da criterio per valutare il modo in cui viviamo ecclesialmente il discepolato missionario: la vicinanza e l’incontro. Nessuno dei due è nuovo, ma costituiscono la modalità in cui Dio si è rivelato nella storia. È il “Dio vicino” al suo popolo, vicinanza che raggiunge il punto massimo nell’incarnazione. È il Dio che esce incontro al suo popolo. Esistono in America Latina e nei Caraibi pastorali “lontane”, pastorali disciplinari che privilegiano i principi, le condotte, i procedimenti organizzativi… ovviamente senza vicinanza, senza tenerezza, senza carezza. Si ignora la “rivoluzione della tenerezza” che provocò l’incarnazione del Verbo. Vi sono pastorali impostate con una tale dose di distanza che sono incapaci di raggiungere l’incontro: incontro con Gesù Cristo, incontro con i fratelli. Da questo tipo di pastorali ci si può attendere al massimo una dimensione di proselitismo, ma mai portano a raggiungere né l’inserimento ecclesiale, né l’appartenenza ecclesiale. La vicinanza crea comunione e appartenenza, rende possibile l’incontro. La vicinanza acquisisce forma di dialogo e crea una cultura dell’incontro.
Preso dal discorso del Santo Padre Francesco, 28 luglio 2013, nell’ Incontro del Comitato di Coordinazione del CELAM.
L’obiettivo del pellegrinaggio
è il rinnovamento dell’Alleanza d’Amore
nella sua forza plasmatrice e missionaria;
quella che si manifesterà, verso l’interiore di Schoenstatt
nel rinnovamento della Famiglia,
e, verso il di fuori, nella creazione di una nuova Cultura d’Alleanza.
Traduzione: Maria Tedeschi, La Plata, Argentina