Postato su 2016-06-11 In Kentenich

COMUNITA’ SANTA

Por P. Peter Wolf •

Durante la Conferenza di chiusura del Presidio Generale a Belmonte, agli inizi del dicembre dello scorso anno (2015), abbiamo fatto visita all’antico casa generalizia delle Sorelle della Divina Provvidenza di Magonza, che si trova a Roma. Nelle turbolente settimane dell’autunno del 1965, nostro padre, P. Josef Kentenich, fu ospitato in quella casa per qualche tempo, mentre era a Roma dopo il suo ritorno da Milwaukee. Oggi, la casa appartiene alla comunità delle suore Paoline. Ed esse, sorprendentemente, conservano ancora ricordi di nostro padre. Ancora oggi, un’immagine della MTA e una foto del nostro padre e fondatore sono esposte sulla scrivania nella stanza in cui è stato ospitato.Vicino alla porticina che porta ad una stanza più piccola, ho notato una icona che mi ha spontaneamente ricordato nostro padre. Ho chiesto, così, a qualcuno di fare una foto dell’immagine, che vi voglio mostrare qui.

L’icona mostra un giovane monaco che porta sulle spalle un monaco visibilmente più anziano. Sul lato sinistro, vi è riportata una scritta in caratteri greci maiuscoli. La scritta è HAGIA KOINONIA che sigifica “COMUNITA’ SANTA”. Molto probabilmente l’espressione esprime la reciprocità dei due monaci come comunità santa. Questo tipo di comunione di vita assume un carattere di alta qualità in quanto profondamente radicata in Dio.

La santa chiamata di Dio, la vocazione, mette insieme questi due monaci. Allo stesso tempo, il giovane monaco prende saggezza dal monaco che, nel frattempo, è invecchiato.

Ora è il giovane che deve portalo sulle spalle, e non lo lascia indietro. Lo porta come un tesoro che vuole evidentemente tenere per sè. I loro occhi guardano verso la stessa direzione. Sembra quasi che escano da una caverna e guardino alla luce. Il loro sguardo è fissato su uno stesso obiettivo che è dritto davanti a loro.

Fuori dal buio

Il vecchio monaco sulle spalle del giovane, lo ripeto ancora, mi ricorda il nostro padre e fondatore. Forse, a causa della barba bianca del monaco anziano, l’associazione è venuta spontanea sia a me che a quelli a cui ho mostrato l’immagine. Anche il luogo in cui ho trovato questa icona ha avuto la sua influenza su questa mia idea. Non posso non vedere un parallelo con nostro padre.

Mentre mi trovavo a Roma con il Presidio Generale, ci siamo tutti sentiti molto vicini alle vicende accadute 50 anni fa. Con la fine dell’esilio, si apriva il periodo in cui portare il padre e fondatore fuori dall’ombra, fuori dal buio. “In umbra maneat” era il verdetto romano che definiva gli anni a Milwaukee. “E’ opportuno che rimanga nell’ombra”. Nelle settimane tra il settembre e il Natale del 1965, fino alla Candelora del 1966, la questione più importante girava proprio attorno a quel verdetto, a come trovare la sua [di P. Kentenich] strada dentro la Chiesa.

E ancora oggi, più che mai, questa strada non deve essere solitaria. Ha bisogno delle spalle del suo movimento, le spalle di coloro che lo seguono, di coloro che sono più giovani. Nostro padre era solito parlare della comunità unita in un’unica missione. Non lui da solo, dunque, ma l’intera famiglia insieme con lui portano avanti la missione.

Fino ad oggi, abbiamo sperimentato che portare avanti la sua missione è una grande sfida. È allo stesso tempo un peso e un tesoro. Per me, Belmonte è il simbolo di tutta questa esperienza. Portiamo sulle spalle nostro padre a Roma. Portiamo lui e la sua missione nella Chiesa di oggi e in quella di domani.

PS. L’immagine di cui si parla nell’articolo è un dettaglio di una icona dal titolo “Dormizione di sant’Efrem il Siro”.

Questa scena inusuale mostra monaci provenenti da diverse direzioni per il funerale del santo. Sulla strada, I monaci più giovani portano sulle spalle quelli anziani. Illustra una comunità santa.

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Fonte: Belmonte-Newsletter 5/2016

Originale: Tedesco. Traduzione: Pamela Fabiano, Roma, Italia

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